Acronimo: 
DCA

I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA)  – anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder, BED) e disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati – sono disturbi mentali che provocano più di qualsiasi altro danni somatici. Si tratta di una patologia essenzialmente psicologica caratterizzata da comportamenti estremi nei confronti del cibo finalizzati al controllo del peso e che comporta gravi conseguenze somatiche che, a loro volta, possono agire sullo stato psichico delle pazienti contribuendo a cronicizzare e ad aggravare il disturbo. Sia nell’anoressia nervosa che nella bulimia nervosa, la fascia di età in cui l’esordio si manifesta più spesso è quella tra i 15 e i 19 anni. Alcune osservazioni cliniche recenti tuttavia hanno segnalato un aumento dei casi a esordio precoce. Nel nostro Paese, come in tutti i Paesi occidentali, i DCA interessano prevalentemente il genere femminile in un rapporto tra maschi e femmine di 1:10. La prevalenza dell’anoressia nervosa si attesta tra  0,3-0.8%, quella della bulimia nervosa tra 1-3%, quella del disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder, BED) intorno a 0.4-0.6% quella dei disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificato tra il 4-6%
 

I DCA sono disturbi nella cui eziologia intervengono vari fattori sia genetici che ambientali. In generale, la maggiore vulnerabilità osservata nei soggetti di sesso femminile in età adolescenziale o giovane adulta sembra indicare che questi disturbi sono associati a difficoltà nelle fasi di passaggio dall’infanzia alla vita adulta, scatenate dai cambiamenti fisici e ormonali che caratterizzano la pubertà. Vari tipi di studi (sulle famiglie, sui gemelli, sul DNA) sono stati condotti per stabilire quanto sia importante la componente genetica nel determinare il rischio di sviluppare questi disturbi, tuttavia le ricerche sui geni implicati in questa vulnerabilità hanno dato finora risultati non conclusivi.
I fattori ambientali sono molteplici e possono riguardare le caratteristiche individuali, familiari/relazionali e socio-culturali.
Tra i fattori individuali troviamo alcune caratteristiche di personalità (ad es., perfezionismo o impulsività) associate a bassa autostima nonché alla presenza di patologie croniche che richiedono il seguire una dieta. I fattori familiari/relazionali riguardano stili alimentari rigidi, controllo e iperprotezione con scarsa spinta all’autonomia, pressioni dei pari nonché familiarità per soprappeso, DCA, depressione e abuso di alcol. Tra i fattori socioculturali, un ruolo importante è stato svolto dall’ideale di magrezza sviluppatosi negli ultimi 50 anni nei Paesi occidentali e il valore di sé centrato su un corpo perfetto.
Alcuni di questi fattori vengono considerati predisponenti nel senso che aumentano il rischio di acquisire il disturbo; esistono poi altri fattori definiti precipitanti che precedono l’insorgenza del disagio e che sembrano averlo provocato in modo diretto e infine intervengono i fattori di mantenimento che sono responsabili del persistere del DCA.
 

I DCA sono caratterizzati da una diversa sintomatologia a seconda del tipo di disturbo. Essi comprendono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa, il disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder, BED) e i disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati.
L’anoressia nervosa è caratterizzata da una significativa perdita di peso corporeo, un’intensa paura di ingrassare anche se si è sottopeso e un disturbo della propria immagine corporea.
La bulimia nervosa invece è caratterizzata da ricorrenti episodi di abbuffate alimentari associati a comportamenti di compenso volti a evitare l’aumento di peso, come il vomito autoindotto, l’uso improprio di lassativi, enteroclismi o diuretici, il digiuno protratto o l’esercizio fisico eccessivo.
Il BED condivide con la bulimia nervosa gli episodi di abbuffate, ma non le pratiche di compenso volte a impedire l’aumento di peso, per cui i soggetti possono sviluppare una condizione di obesità.
I disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati hanno caratteristiche cliniche simili all’anoressia nervosa e alla bulimia nervosa, ma non soddisfano tutti i criteri richiesti per tali diagnosi. Nei DCA la stima di sé è eccessivamente influenzata dalla forma e dal peso del corpo.

All’ingresso viene effettuata una raccolta anamnestica con particolare attenzione all’esordio e alle caratteristiche del disturbo, indagando rispetto alla presenza di iperattività e condotte di eliminazione (uso di diuretici/lassativi, vomito autoprovocato). Vengono misurati il BMI (body max index) ed i parametri vitali. In base ai segni medici, al BMI ed alla tenuta famigliare e psicologica della paziente si decide se effettuare un presa in carico ambulatoriale o tramite ricovero. 
Viene effettuata una valutazione medico nutrizionale con attenzione ai parametri vitali, all’obiettività medica, all’equilibrio idro-elettrolitico, alla funzionalità cardio-vascolare e metabolica  e all’indice di massa corporea. Si effettuano esami ematici generali con attenzione ad eventuali situazioni carenziali (anemia, deficit vitaminici), alla funzionalità epatica, tiroidea, al profilo lipidico e glicemico, all’equilibrio idroelettrolitico che potrebbe essere alterato nelle situazioni caratterizzate da eccessiva introduzione di liquidi (potomania). Viene richiesta una consulenza cardiologica per la valutazione della funzione cardiaca, con esecuzione di ECG ed eventuale ecocardio, una consulenza endocrinologica in caso di alterazioni dell’assetto ormonale e nei casi di anoressia ad insorgenza pre-puberale per le possibili conseguenze sulla crescita.  Può essere richiesta inoltre una consulenza ginecologica vista l’amenorrea e l’esecuzione di una MOC, visto l’elevato rischio di osteoporosi.
Oltre agli accertamenti sul versane organico viene effettuata una valutazione psicodiagnostica che avviene tramite colloqui e può avvalersi dell’uso di test e scale di valutazione. Scopo della psicodiagnosi è conoscere il funzionamento mentale della paziente in termine di modalità di pensiero e meccanismi di difesa. La relazione terapeutica rappresenta uno spazio privilegiato dove il mondo interno della paziente può trovare una propria dimensione non unicamente appiattita e veicolata dal sintomo. Particolare attenzione va posta all’eventuale comorbilità psichiatrica, che può costituire un elemento di rischio per condotte agite autolesive, atti suicidari, o per gravi stati di sofferenza depressiva o di disturbo d’ansia. Da valutare, da parte del neuropsichiatria infantile in accordo con i dati emergenti dalla psicodiagnosi, la necessità di  terapia psicofarmacologica, da considerare in base alle indicazioni, alle condizioni fisiche e alla compliance della persona in particolare quando trattasi di minori.
 

Il trattamento innanzitutto esige nuovi modelli di integrazione di competenze professionali diverse. La risoluzione del quadro clinico richiede infatti, nella maggior parte dei casi, l’intervento interdisciplinare e multidimensionale (neuropsichiatria infantile, psicologi-psicoterapeuti, nutrizionista, internisti… ), che possono agire contemporaneamente o in fasi successive del trattamento. Le figure fondamentali di riferimento nel trattamento devono provenire, quindi sia dall’area psicologico-psichiatrica che dall’area internistico-nutrizionale.
Risulta fondamentale la continuità terapeutica della presa in carico e l’integrazione degli interventi, rispetto all’intervento psicoterapeutico, medico e dietetico nelle diverse fasi del trattamento, che può prevedere un setting ambulatoriale, ma anche la necessità, in certi periodi di scompenso somato-psichico, di ricoveri. Considerando l’ampia letteratura clinica sul trattamento dei disturbi del comportamento alimentare, si può comunque affermare che la psicoterapia (psicodinamica, cognitivo comportamentale, familiare sistemico) è ritenuta attualmente lo strumento più efficace Nonostante gli indubbi progressi della psicofarmacologia, infatti, non sono finora disponibili farmaci dotati di un’indicazione specifica per queste patologie, né di un’efficacia a lungo termine sperimentalmente dimostrata.

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