La leucemia linfoblastica acuta (LLA) è la più comune forma di tumore maligno del bambino, con una incidenza attorno a 20-30/casi per 1.000.000/anno in soggetti di età inferiore a 14 anni. Il picco di insorgenza è tra i 2 e i 5 anni, l'incidenza è lievemente più elevata nei maschi che nelle femmine.
In meno del 5% dei casi di LLA è riconosciuto un fattore predisponente genetico: condizioni genetiche predisponenti allo sviluppo di leucemie sono la sindrome di Down, l'atassia- teleangectasia, la sindrome di Fanconi, la sindrome di Nijmegen, la sindrome di Bloom, la sindrome di Schwachmann-Diamond; l'esposizione a benzene, a radiazioni ionizzanti, ad alcuni chemioterapici sono fattori di rischio ambientali accertati per la comparsa di leucemia.
Di fatto al momento nella maggior parte dei casi la "causa" della leucemia del bambino non è nota, e non vi è un aumentato rischio di contrarre la malattia nei consanguinei.
Un meccanismo legato all'effetto di un fattore infettivo non noto che induca una degenerazione del DNA in cellule che già presentano mutazioni preleucemiche (normalmente presenti nella vita fetale e neonatale) viene ipotizzato come causa dello sviluppo di leucemia.

Il meccanismo patogenetico attraverso il quale agisce la leucemia acuta è caratterizzato dalla tendenza precoce all'invasione del midollo osseo da parte delle cellule tumorali (i linfoblasti), con soppressione della produzione di normali cellule del sangue; questo processo porta al decesso in assenza di trattamento per le conseguenze emorragiche e infettive della pancitopenia o, nei casi in cui all'invasione midollare consegua una importante diffusione periferica di blasti, per i danni da infiltrazione di organi vitali; in rari casi con conta periferica di blasti elevatissima (oltre 400.000/mmc), è descritta una sindrome mortale per stasi ematica a livello cerebrale e polmonare (leucostasi), con conseguente ipossia e possibili emorragie cerebrali.

La diagnosi viene sospettata dalla compresenza di segni di insufficienza midollare (citopenia bilineare, tipicamente) con leucocitosi anomala per caratteristiche non ortodosse dei leucociti, riconoscibili anche routinariamente dai moderni apparecchi perl'analisi dell'emocromo, e da segni clinici come febbre (in genere febbricola intermittente), calo ponderale, dolori ossei di entità variabile, epatosplenomegalia, linfoadenopatia generalizzata, segni di interessamento meningeo (nel quadro di meningosi leucemica, presente nel 5% dei casi di LLA all'esordio). La conferma diagnostica è data dal riscontro di linfoblasti (per morfologia e caratteristiche immunocitochimiche) dall'aspirato midollare o raramente da sangue periferico in casi in cui il midollo non sia valutabile.

La leucemia linfoblastica acuta deriva dalla crescita incontrollata a livello midollare di una popolazione di cellule tumorali di derivazione linfoide, che esprimono cioè marcatori di differenziazione linfatica (appartenenti ai cosiddetti "clusters di differenziazione" o CD, attualmente di facile identificazione con tecniche di citofluorimetria); questi normalmente compaiono in epoca precoce o tardiva nel corso della differenziazione midollare dei precursori linfoidi, e non vengono in seguito tutti mantenuti dalla cellula linfatica matura: caratteristica dei blasti è la compresenza di marcatori precoci e tardivi, normalmente separati.
La presenza di ulteriori marcatori specifici permette la distinzione successiva tra blasti linfoidi appartenenti alle famiglie dei B o T linfociti, i quali possiedono caratteristiche di malignità differenti tra loro; la più comune forma di LLA (circa l'80% dei casi) è la cosiddetta LLA common, (o pre-pre B), caratterizzata da blasti di tipo B immaturo, con prognosi storicamente migliore rispetto alle forme con marcatori di differenziazione T o di cellula B matura, più rari.
A queste varianti di espressioni molecolari corrisponde parzialmente una differenziazione morfologica (nelle tre morfologie L1, L2, L3), cui corrisponde una variabilità prognostica meno precisamente definita. Di recente, grazie al progresso della tecnologia applicata in campo di indagine genetica, si è resa possibile l'identificazione di ulteriori importanti marcatori a livello del genoma dei blasti: specifiche alterazioni genetiche maggiori (delezioni, traslocazioni, inversioni cromosomiche) presenti nel DNA delle cellule tumorali sono state identificate e poste in correlazione diretta con caratteristiche di malignità cellulare, sì da essere ricercate specificamente come indici prognostici positivi o negativi al momento della diagnosi (ad esempio la traslocazione t9;22 che determina la presenza del cosiddetto "cromosoma Philadelphia”, contro gli effetti del quale sono state progettate e sono in uso molecole terapeutica specifiche efficaci).
Complessivamente i dati forniti dalla morfologia cellulare, l'espressione molecolare ed il corredo genetico contribuiscono nella definizione dei vari sottotipi di malattia, contribuendo alla loro collocazione in classi di rischio che hanno corrispettive prognosi differenziate.

La leucemia acuta è una patologia di cui non è descritta la guarigione spontanea, e non trattata porta ad esito precocemente. Sulla base delle esperienze belliche con i gas tossici, i primi tentativi di trattamento delle leucemie si sono basati, nel secondo dopoguerra, su regimi terapeutici a base di farmaci alchilanti (mostarde azotate), quindi di antifolici, ma hanno prodotto scarsi e deludenti risultati. La strutturazione di una più vasta strategia di sperimentazione di farmaci contro differenti tipi di tumori ha permesso l'identificazione di un numero via via maggiore di composti antileucemici, per cui attorno al 1970 si registrava una guarigione media del 30% dei casi di LLA.
Il miglioramento negli anni della guaribilità della leucemia è dovuto alla ricerca applicata attraverso i protocolli di cura, di fatto studi multicentrici randomizzati e controllati in cui vengono valorizzate le nuove acquisizioni delle ricerche: ogni bambino diagnosticato con leucemia viene attualmente arruolato, con il consenso delle famiglie, ad un protocollo terapeutico sperimentale che garantisce il gold-standard del trattamento acquisito ed offre alcune proposte di trattamenti sperimentali per tipo di farmaco o dosaggio del farmaco o modalità di somministrazione su cui è ragionevole puntare per un ulteriore miglioramento della cura in termini di guarigione e riduzione degli effetti collaterali.
Attualmente l'applicazione di protocolli terapeutici nati dall'esperienza collaborativa tra centri ematologici nazionali (nell'ambito della reta dell'AIEOP, associazione italiana ematooncologia pediatrica) ed a livello internazionale permette la guarigione in circa l'80% dei casi di LLA attraverso la somministrazione di schemi di terapia articolati che vedono nella prolungata e variata somministrazione di chemioterapici antiblastici la chiave del successo terapeutico.
Il programma terapeutico di prima linea dura complessivamente 2 anni, di cui i primi 4-6 mesi più intensivi in quanto a necessità di ospedalizzazione, effetti collaterali e necessità di isolamento sociale; il trattamento viene somministrato monitorando la risposta della malattia in momenti predefiniti del programma, ed in base a questa si configura il grado di aggressività della malattia che viene caso per caso assegnata ad una "classe di rischio": standard (10% circa dei casi), intermedia (80%), alto (10%). Alle differenti classi di rischio corrispondono programmi terapeutici di intensità crescente.
La terapia attuale della LLA comprende 11 farmaci che vengono somministrati in varie combinazioni tra loro seguendo schemi codificati (induzione, consolidamento, reinduzione, mantenimento) ed in dosaggio tale da non raggiungere la soglia di tossicità grave acuta e cronica. Tuttavia effetti collaterali acuti da trattamento (soprattutto riduzione della produzione di globuli bianchi, piastrine e globuli rossi) sono presenti in tutti i casi trattati richiedendo di volta in volta trattamenti di supporto in regime ambulatoriale o di ricovero (specialmente per le forme infettive insorte in carenza assoluta di difese immunitarie).
Per la profilassi della localizzazione leucemica a livello delle meningi, nei casi in cui queste non sono coinvolte all'esordio, vengono somministrate iniezioni intratecali di chemioterapico; nei casi in cui le meningi sono sede di localizzazione di malattia viene utilizzata la radioterapia craniale, secondo schemi di somministrazione che hanno dimostrato di contenere al massimo la tossicità neurologica acuta e cronica, se pur non annullandola.
Gli effetti tardivi da terapia sono al momento in via di studio (le prime coorti numericamente significative di guariti hanno da poco raggiunto l'età adulta): complicanze mediche da lievi a invalidanti (cardiologiche, neurologiche, endocrinologiche e di secondi tumori) sono descritti nei pazienti trattati per LLA, soprattutto in relazione all'utilizzo di radioterapia. Complessivamente la maggior parte dei sopravvissuti trattati con protocolli di terapia recenti conduce una vita normale; anche la capacità riproduttiva dei pazienti trattati con sola polichemioterapia è tendenzialmente salvaguardata.

La vita di un bambino con la leucemia linfoblastica oggi a Trieste
I bambini con diagnosi di LLA vengono ricoverati (con un familiare) nei primi giorni dalla diagnosi per permettere l'esecuzione delle indagini diagnostiche necessarie a definire al meglio il quadro e avviare la prima fase del trattamento.
Nei giorni che seguono la diagnosi viene posizionato un catetere venoso centrale in una via di grosso calibro che permetterà l'esecuzione di trattamenti endovenosi, e ridurrà al massimo la necessità di prelievi da vena periferica.
Le indagini diagnostiche e terapeutiche invasive (aspirato midollare, puntura lombare) alla diagnosi e nel corso del trattamento vengono eseguite sempre in sedazione profonda, grazie al consolidato rapporto di collaborazione con il servizio di sedazione operativa e gli anestesisti dell'istituto.
Nei primi giorni la famiglia in questa prima fase viene coinvolta nel progetto di alleanza terapeutica con i sanitari, e viene supportata nel difficile momento che comporta notevoli squilibri nel progetto di vita in corso. Gli aspetti relativi alle necessità di supporto dal punto di vista lavorativo vengono avviati dai sanitari e dagli assistenti sociali.
Nel momento in cui il bambino è stabile dal punto di vista clinico, viene dimesso con programma di rientri ambulatoriali ed in day-hospital (1-2 a settimana) per ricevere i trattamenti chemioterapici antiblastici.
Al momento della dimissione viene organizzata la rete di supporto assistenziale territoriale per tramite del medico curante, del distretto sanitario di appartenenza, e del presidio ospedaliero di riferimento del bambino, di modo che indagini di controllo di routine o interventi medici di bassa-media intensità potranno essere svolti in strutture ospedaliere e territoriali regionali che collaborano a stretto contatto con il reparto di oncoematologia, per ridurre gli spostamenti dei pazienti e delle famiglie allo stretto necessario.
La famiglia ha a disposizione i recapiti telefonici del reparto (attivi 24h su 24 ogni giorno dell'anno) a cui riferirsi in caso di necessità a domicilio, con comunicazione in tempo reale al medico reperibile di reparto di eventuali necessità espresse, cui conseguono le indicazioni del caso (eventualmente il ricovero urgente).
Nel corso dei primi 4-6 mesi di terapia vi saranno alcuni ricoveri per permettere la somministrazione di terapie che richiedono il pernottamento per una o più notti in ospedale. Negli stessi mesi la possibile insorgenza di complicanze da trattamento (tipicamente la febbre in neutropenia, possibile spia di infezioni generalizzate potenzialmente gravi) potrà indicare la necessità di ricovero per stabilizzazione del quadro e fino a risoluzione della complicanza. Altre complicanze minori potrebbero richiedere un monitoraggio ospedaliero frequente.
Per questi primi mesi di terapia la situazione immunologica del bambino sarà tale da precludere la frequenza di luoghi pubblici e scuole, richiedendo l'assistenza continuativa di un genitore. A tale proposito è presente nell'istituto un servizio scolastico che organizza la rete degli insegnanti ad evitare la perdita del contatto con la scuola, essenziale nello sviluppo del bambino, così da rimanere al pari con i programmi e le tappe scolastiche dei pari età nonostante la mancata frequenza dei corsi a scuola.

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