La definizione di “Sindrome di Asperger” deriva da Hans Asperger, pediatra e pedagogista viennese che oltre cinquant’anni fa descrisse una configurazione di comportamenti presenti soprattutto nei maschi, tra cui una carenza di abilità sociali e di empatia, la difficoltà ad avviare una conversazione reciproca ed un’intensa dedizione ad interessi circoscritti, spesso con sviluppo di abilità eccellenti strettamente connesse ad essi.

Da allora la sindrome di Asperger è stata considerata come una forma lieve di autismo da cui si differenzia per l’assenza di ritardi clinicamente significativi nello sviluppo cognitivo e linguistico, ed è stata per questo motivo inserita nella categoria dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo dal DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) come entità nosografica a parte. Proprio perché si tratta generalmente di bambini intellettivamente dotati e con uno sviluppo del linguaggio in linea con l’età, questo disturbo è stato in passato sottodiagnosticato o diagnosticato tardi, ovvero non prima dell’adolescenza, se non addirittura in età adulta.
Attualmente il DSM-5 ha unificato in un’unica categoria i disordini del neurosviluppo caratterizzati da “deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale” e dalla “presenza di comportamenti e/o interessi e/o attività ristrette e ripetitive”, definendoli Disturbi dello Spettro Autistico, senza differenziare più al suo interno la sindrome di Asperger come un’entità distinta. Ciò che differenzia secondo il DSM-5 le persone affette da un disturbo dell’autismo è essenzialmente la gravità, identificata nella quantità di supporto necessario ad assolvere i compiti del vivere quotidiano. A partire dal 2014 quindi è possibile sostituire la definizione di “Sindrome di Asperger” con quella di “Spettro autistico”, specificando che la persona interessata non ha disabilità intellettiva, e quindi non ha necessità di un supporto intensivo.

Diagnosticare la sindrome di Asperger non è immediato, perché come per tutti i Disturbi dello Spettro Autistico, la diagnosi è comportamentale, ovvero è basata sui criteri diagnostici del DSM ed è supportata dall’utilizzo di strumenti di valutazione individuale e di questionari specifici e interviste da somministrare ai genitori, quando si tratta di bambini, o al soggetto stesso se si tratta di persone adulte. Questo disturbo inoltre si trova spesso associato ad altri disturbi del neurosviluppo o psicopatologici, tra cui la sindrome di Tourette o l’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione con Iperattività) e disturbi affettivi come la depressione e l'ansia. Può accadere pertanto che persone  Asperger ricevano diagnosi errate o solo parziali del loro disturbo, mentre è importante per i pazienti, i loro genitori ed insegnanti che la diagnosi sia formulata e spiegata esplicitamente.

Essere consapevoli infatti di come i problemi di socializzazione con i coetanei, le difficoltà a comprendere i pensieri e i sentimenti delle altre persone, le conversazioni unilaterali su interessi eccessivamente settoriali per poter essere condivisi in un’ interazione reciproca, la goffaggine motoria e sociale siano aspetti imputabili ad un disturbo neurobiologico piuttosto che a qualche negligenza o inadeguatezza a livello educativo o erroneamente attribuibili ad altre psicopatologie. Ricevere una diagnosi chiara da parte del clinico è infatti spesso un sollievo per questi ragazzi e ragazze, che sono a forte rischio di sviluppare in adolescenza altri disturbi psicopatologici, come l’ansia o la depressione, a causa del loro modo di essere e di comportarsi in società e a maggior ragione per quegli adulti che hanno convissuto per anni con un disturbo autistico non diagnosticato, percependosi come “diversi” senza conoscerne la vera ragione.

Gli interventi non farmacologici che si sono rivelati efficaci sono quelli educativi strutturati, che danno esiti positivi  sulla comunicazione e sulle abilità sociali; l’intervento farmacologico può rendersi comunque necessario per i sintomi ossessivi, l’iperattività e i disturbi affettivi. Speranze sono riposte nei trattamenti a base di molecole, come l’ossitocina o gli antagonisti della vasopressina, che sono tuttora in fase di sperimentazione e che le prime evidenze scientifiche indicherebbero efficaci nel migliorare le abilità sociali.

dott.ssa Raffaella Devescovi

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Data di aggiornamento: 
Giovedì, 22 Febbraio, 2018

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