Grande partecipazione e apprezzamento per la conferenza tenuta al Burlo dal professor Wieland Huttner, Direttore Emerito e co-fondatore del Max Planck Institute

Il 27 settembre scorso, il professor Wieland Huttner, Direttore Emerito e co-fondatore del Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics di Dresda, è stato ospite dell’Irccs Materno Infantile “Burlo Garofolo” dove ha tenuto una conferenza su “Sviluppo ed evoluzione del cervello umano”, ripetuta, poi, il giorno dopo per il grande pubblico di Trieste Next, al Teatro Verdi di Trieste (la conferenza in inglese è visibile al link: https://youtu.be/0WfAtH3XElo). 
In quell’occasione il professor Huttner ha rilasciato un’intervista alla Newsletter del Burlo.

Professor Huttner, qual è stato il focus della sua ricerca oggetto della relazione presentata al Burlo?
Con la nostra ricerca abbiamo trovato uno dei geni che permettono al cervello umano di essere più grande di quello di altri primati. Per questa scoperta abbiamo incentrato il nostro lavoro su geni che sono sostanzialmente diversi (a causa di mutazioni intervenute) solo negli esseri umani e non negli scimpanzé. Gli scimpanzé sono i primati attualmente viventi a noi più prossimi (distanza evolutiva circa 6 milioni di anni). Abbiamo così trovato un gene (chiamato ARHGAP11B), che possiede una mutazione nell’uomo diversificandolo dall’omologo dello scimpanzé (e degli altri primati). Questa mutazione accorcia la proteina corrispondente di circa la metà e aggiunge una sequenza C-terminale di 47 aminoacidi specifica dell’uomo. Questa profonda modificazione rende la proteina umana funzionalmente diversa da quella dello scimpanzé e permette il maggior accrescimento della corteccia del cervello umano. Abbiamo infatti dimostrato che facendo esprimere il gene umano nel cervello fetale della marmosetta, una scimmia del continente americano che possiede la variante simile a quella dello scimpanzé, anche il suo cervello aumenta di dimensioni e forma abbozzi di circonvoluzioni corticali. La corrispondente proteina umana si localizza, a differenza della proteina dello scimpanzé, nei mitocondri, la “centrale energetica” della cellula. Qui, aumenta in modo sostanziale l’attività della glutaminasi mitocondriale associata al ciclo di Krebs nelle le cellule staminali corticali esterne, quelle che danno origine ai neuroni della corteccia cerebrale. Questo meccanismo aumenta marcatamente il metabolismo intermedio dei mitocondri in modo simile a quanto avviene per le cellule cancerose. Tale attivazione è, però, autolimitata al periodo di sviluppo fetale. Questa rapida e marcata attivazione fetale delle cellule staminali umane ne aumenta moltissimo la moltiplicazione, e quindi il numero di neuroni maturi della corteccia cerebrale. Questo effetto spiega l’enorme sviluppo del cervello umano, in particolare della corteccia cerebrale rispetto agli altri primati, compreso lo scimpanzé, che non hanno la variante tipicamente umana. 
Si tratta, dunque, di un unico gene che voi avete scoperto?
Ipotizziamo che ci possano essere altri geni che lavorano in quella direzione, ma nella mia conferenza ho parlato dell’unico gene che, pur essendo noto da tempo, possiede nell’uomo la mutazione specifica che modifica profondamente la struttura della corrispondente proteina, la cui stessa funzione cambia, localizzandosi nei mitocondri e iperattivando il ciclo di Krebs solo nell’uomo (attuale), e anche nel Neanderthal, e probabilmente nell’Homo erectus e in altri ominidi simili, il cui cervello aveva un peso di circa 900 grammi (il nostro pesa all’incirca 1600 grammi), comunque molto superiore a quello dello scimpanzé e dell’australopiteco (circa 400 grammi). Nel 2015 abbiamo capito il ruolo specifico e unico del prodotto genico nell’uomo (che non si manifesta negli altri primati attuali); nel 2020 abbiamo individuato come agisce per l’accrescimento del cervello umano; nel 2021 abbiamo, poi, dimostrato che lavora all’interno della “centrale energetica” mitocondriale.
La vostra ricerca su quel gene è conclusa o la state ancora portando avanti?
Attualmente, dopo aver dimostrato che quel gene è un attore chiave (anche se certamente non l’unico) nella crescita del cervello umano, abbiamo espanso il nostro interesse alle differenze dello sviluppo del cervello tra noi e gli uomini di Neanderthal, i nostri parenti più prossimi, che però a differenza degli scimpanzè non sono più viventi. Insieme a Svante Pääbo, che nel 2022 ha ricevuto il Nobel per la medicina per aver decifrato l’intero genoma dell’uomo di Neanderthal, abbiamo trovato differenze sottili in proteine associate al controllo qualitativo del patrimonio genetico del cervello tra umani moderni (noi) e uomini di Neanderthal. In almeno due di queste proteine che sorvegliano la divisione dei cromosomi dei neuroni, i Neanderthal hanno varianti identiche a quelle degli scimpanzè, ma diverse dalle nostre. Secondo noi, il piccolo numero di cambiamenti negli aminoacidi fra i Neanderthal e gli umani moderni fa sì che quando le nostre cellule neuro-staminali si dividono fanno meno errori nella distribuzione corretta dei cromosomi alle cellule figlie rispetto a quanto accadeva nei Neanderthal. Credo che questa scoperta sia piuttosto importante. Essa dimostra la presenza di differenze significative in proteine che regolano la replicazione cromosomica neuronale tra noi e i Neanderthal, spiegando in tal modo perché i Neanderthal, pur avendo un cervello di dimensioni addirittura maggiori del nostro, fossero intellettualmente inferiori, in particolare per un minore sviluppo dei lobi frontali della corteccia cerebrale.
Ci può spiegare che cosa significhi avere un cervello più grande e che differenze ci sono rispetto ad animali, come gli elefanti, che hanno un cervello più grande di quello umano?
Quello che ci differenzia è che noi abbiamo non necessariamente il cervello più grande, ma sicuramente il più grande numero di neuroni nella corteccia cerebrale (16 miliardi di neuroni), gli elefanti (come altri animali) hanno più neuroni di noi nel cervelletto che, ad esempio, a loro servono per muovere appropriatamente la proboscide. Gli elefanti, dunque, sono molto intelligenti, ma non quanto gli esseri umani. Il nostro vantaggio è dato appunto dal fatto di avere molti più neuroni nell’area del cervello dedicata al pensiero, e noi abbiamo un cervello più grande, con più neuroni in quell’area (corteccia cerebrale) proprio grazie al gene di cui parlavamo all’inizio. Tant’è che se mettiamo quel gene in un topo, il topo sviluppa un cervello più grande e diventa più intelligente.
Nelle scimmie vi siete fermati allo stato fetale. Cosa è emerso?
Nelle scimmie il cervello cresceva e iniziavano a formarsi circonvoluzioni corticali. Un ulteriore dato interessante: quando abbiamo usato il gene umano nelle scimmie, abbiamo usato anche la porzione genica del promotore umano e abbiamo visto che il promotore umano funziona anche nelle scimmie. Non abbiamo, dunque, creato un artificio, ma mostrato come questo gene specifico si esprima fisiologicamente nei primati.
Cosa potrà significare questo vostro lavoro in futuro per la medicina?
Ho predisposto un documento di ipotesi sulla possibilità di utilizzare quel gene nelle malattie neurodegenerative, quando i neuroni muoiono prematuramente e si spera di poterli rimpiazzare. La mia ipotesi è che con quel gene sarà possibile rimpiazzarli. Vediamo come andrà avanti la ricerca.
Tornando alle sue ricerche più recenti, quelle sui Neanderthal, qual è il loro scopo finale?
In sintesi, capire cosa ci renda umani, perché oggi non lo sappiamo.  Non sappiamo ancora quali porzioni di Dna siano responsabili del fatto che noi siamo riusciti ad andare sulla luna a differenza di altre specie animali.
Pensa che l’intelligenza artificiale potrà essere d’aiuto in futuro in questo campo? Potrà fornirci delle “scimmie informatiche” con le quali condurre gli esperimenti?
La mia impressione è che l’intelligenza artificiale non possa inventare ciò che non è stato osservato. Gli esseri umani scoprono nuove cose e possono comunicarle all’intelligenza artificiale e questa le può elaborare, ma la cosa che ci rende particolari come umani è proprio la capacità e il desiderio di scoprire nuove cose. Non sono un esperto di intelligenza artificiale, ma penso che potrà essere molto utile nell’educazione o per perfezionare attività che facciamo manualmente (si pensi alla guida autonoma). In campo sanitario forse interpreterà meglio le radiografie e potrà aiutare in altre attività mediche, ma da sola non curerà le malattie.

Data creazione: 
15/11/2024
Data di aggiornamento: 
15/11/2024
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