Giornata Mondiale contro l’AIDS

Il Burlo Garofolo aiuta le donne sieropositive ad affrontare il delicato periodo della gravidanza

Il 1° dicembre ricorre la Giornata Mondiale Contro l’AIDS, malattia molto discussa e certamente temuta, ma al giorno d’oggi una diagnosi di infezione da HIV, il virus che potrebbe dare luogo alla malattia AIDS, non deve più suonare come una condanna a morte: se diagnosticata precocemente e trattata con gli opportuni farmaci permette di condurre una vita normale e le donne possono avere figli senza che la gravidanza comprometta il loro stato di salute.
L’incidenza delle nuove diagnosi da HIV in Italia è lievemente in calo dal 2012, con una riduzione significativa a partire dal 2018 quando le nuove diagnosi riportate sono state 2.847, pari a  4,7 casi ogni 100.000 abitanti. Si tratta di maschi nell’85,6% dei casi con un’età mediana di 39 anni. L’incidenza più alta è stata osservata tra le persone di 25-29 anni (11,8 nuovi casi ogni 100.000 abitanti) e 30-39 anni (10,9 nuovi casi ogni 100.000 abitanti); in queste fasce di età l’incidenza nei maschi è almeno tre volte superiore a quelle delle femmine. La maggioranza delle nuove diagnosi di infezione da HIV è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituiscono l’80,2% di tutte le segnalazioni (eterosessuali 41,2%; maschi omosessuali 39,0%).
Anche l’incidenza di AIDS è in lieve e costante diminuzione, con un numero di decessi che rimane stabile. In Friuli Venezia Giulia si conferma il trend nazionale con un’incidenza delle nuove diagnosi di HIV diminuita negli ultimi anni.
«Rispetto al passato è indubbio che questa tematica venga affrontata meno frequentemente dai mass media, con pericolo che vi sia un minor grado di attenzione e presa di  coscienza, soprattutto da parte dei giovani, – afferma il dott. Maso, responsabile della SSD Gravidanza a Rischio del Burlo Garofolo –  ma dal punto di vista ostetrico-ginecologico l’attenzione è sempre alta, infatti si effettuano percorsi di sensibilizzazione nei confronti delle malattie sessualmente trasmesse già dall’età adolescenziale e programmi di screening universale per HIV in gravidanza. La nostra Struttura inoltre fa parte del Progetto di Sorveglianza dell’HIV in gravidanza dell’Istituto Superiore di Sanità». Fondamentale per una donna sieropositiva che voglia intraprendere una gravidanza è la pianificazione con una valutazione pre-concezionale presso i Centri che si occupano di tale condizione, in cui l’ostetrico ha anche la possibilità di interfacciarsi con lo specialista in Malattie Infettive. «Il nostro centro di Gravidanza ad Alto Rischio – prosegue il dott. Maso –  opera in stretta collaborazione con la SC Malattie Infettive di ASUGI, così da indirizzare la donna verso i Percorsi diagnostico-terapeutici più adatti in epoca preconcezionale e durante la gravidanza stessa. Il punto fondamentale su cui dobbiamo agire è la prevenzione della trasmissione verticale madre- bambino che si basa su 4 principi: somministrazione della terapia antiretrovirale alla madre, pianificazione della modalità di parto che potrebbe essere vaginale nel caso in cui la presenza di virus nel sangue (viremia) sia estremamente bassa o non rilevabile, la sospensione dell’allattamento al seno materno, la somministrazione della terapia antiretrovirale al neonato».
L’assunzione della terapia antiretrovirale per la donna è dunque fondamentale per evitare di trasmettere l’infezione al figlio, tuttavia le donne che assumono questa terapia potrebbero essere esposte potenzialmente a un rischio lievemente aumentato di teratogenicità, ovvero presenza di malformazioni fetali, parto pretermine e mortalità perinatale, anche se studi a riguardo riportano dati contrastanti che non considerano fattori che potrebbero essere confondenti. «Per quanto riguarda l’allattamento al seno materno – afferma la dott.ssa Maria Bernardon, dirigente medico della SSD Gravidanza a Rischio del Burlo – è sempre stato considerato un possibile veicolo di trasmissione verticale del virus dell’HIV; tuttavia gli studi più recenti dimostrano che la presenza del virus nel latte materno è trascurabile nelle donne in terapia antiretrovirale triplice con valori di viremia sotto soglia al momento del parto. Pertanto è possibile che in futuro ci sia un’ apertura delle maggiori società scientifiche nei confronti della possibilità di allattare al seno per le donne HIV positive».
Quello della gravidanza è un periodo delicato e particolare che andrebbe vissuto nella maniera più tranquilla e rilassata possibile e, nel caso specifico delle donne con HIV, con una speciale attenzione. «Alcune donne sieropositive – conclude la dott.ssa Bernardon – vivono la gravidanza in maniera molto consapevole, con stretta adesione ai programmi diagnostici e terapeutici proposti, altre, purtroppo, in maniera del tutto inconsapevole, con scarsa adesione alle terapie. Questo riscontro avviene soprattutto fra le donne straniere per mancanza di conoscenza dell’infezione da HIV/AIDS ed è indubbio che la barriera linguistica giochi un ruolo determinante in questa criticità».
La sensibilizzazione verso questo tema resta una delle armi più importanti per cercare di limitare il più possibile le infezioni da HIV. Soprattutto nei confronti dei giovani è fondamentale far comprendere che il rapporto sessuale può dar luogo non solo a gravidanze  indesiderate, ma anche a malattie sessualmente trasmesse che possono determinare esiti permanenti sulla salute e sulla fertilità futura: anche in caso di utilizzo di contraccezione ormonale da parte delle ragazze deve essere usato correttamente anche il contraccettivo di barriera, comunemente conosciuto come preservativo.

Data di pubblicazione: 
Lunedì, 30 Novembre, 2020

Amministrazione Trasparente