Il laboratorio di medicina di precisione e malattie rare inaugurato all’Irccs Materno Infantile “Burlo Garofolo” nel febbraio scorso costituisce un notevole passo avanti nelle possibilità di ricerca da parte dell’Istituto.
Organizzato dal Direttore Scientifico professor Massimo Zeviani, con l’essenziale aiuto del dottor Fulvio Celsi, lab manager e titolare di un paio di ricerche precliniche al Burlo Garofolo, con ulteriori contributi organizzativi da parte di altri due ricercatori ai quali si aggiungeranno a breve una laureanda e una ricercatrice post-doc, il laboratorio di nuova costituzione sviluppa l’attività della medicina di precisione e malattie rare che era già presente nell’Istituto come “costola” dei laboratori di pediatria e si occupa della definizione e caratterizzazione biochimico-molecolare di malattie, ereditarie e non, appunto “rare”, ovvero con una frequenza inferiore ai cinque casi ogni 5mila abitanti.
Dottor Celsi, quali sono i vantaggi per la ricerca dovuti alla creazione del nuovo laboratorio?
Per noi significa avere a disposizione una serie di attrezzature di nuova acquisizione e di altissima tecnologia che ci permettono di effettuare una serie di studi che prima era praticamente impossibile portare avanti. Inoltre, con questo nuovo laboratorio abbiamo a disposizione spazi specifici che ci consentono di perfezionare le diagnosi sulle malattie rare e comprendere quali siano i meccanismi patogenici delle malattie. Infine, le nuove attrezzature sono a disposizione anche degli altri ricercatori dell’Irccs che presentino un progetto adeguato e interessante, con un evidente vantaggio nel portare avanti ricerche sempre più complesse e avanzate.
Cosa studiate specificamente nel laboratorio?
In questo laboratorio si studiano i meccanismi patogeni delle malattie rare, partendo da una definizione esatta del paziente, il suo background genetico e la sua storia clinica.
Da queste informazioni, definiamo poi una strategia di ricerca, basata sull’analisi dell’attività biochimica di proteine coinvolte nella patologia, per arrivare a una completa definizione patogenica del paziente.
Dal paziente possiamo ottenere anche cellule della cute (fibroblasti), che, sottoposte a opportune manipolazioni, vengono “immortalizzate” (cioè rese utilizzabili e capaci di dividersi all’infinito, quando normalmente i fibroblasti hanno un ciclo di vita limitato nel tempo e possono dividersi un numero finito di volte) permettendo la creazione di una biobanca cellulare permanente e inesauribile per proseguire e ampliare la ricerca, sia studiando le cellule primarie, sia sottoponendole a procedure di staminalizzazione per poi differenziarle in cellule di tessuti specifici. Queste ultime possono poi essere studiate in vitro come fossero tessuti dei pazienti, ricapitolando così in vitro il fenotipo patogenico tessuto-specifico.
Lo scopo ultimo del laboratorio è, quindi, quello di ricapitolare “in vitro” il fenotipo di malattia, per studiarne i meccanismi e eventualmente testare farmaci che possano intervenire sulla malattia, differenziati a seconda del paziente.
In questo periodo vi state occupando di qualche malattia in particolare?
Abbiamo cominciato con lo studio delle malattie mitocondriali, le più frequenti malattie genetiche di tipo neurologico o multi-sistemico, andando a rivedere alcuni casi che non avevano una manifestazione clinica esattamente coincidente con le caratteristiche canoniche delle malattie mitocondriali, ma per i quali non era stata fatta un’identificazione precisa. Fondamentalmente andiamo quindi a vedere la funzionalità dei mitocondri e la fisiologia delle cellule primarie provenienti da questi pazienti per cercare di chiarire meglio la diagnosi.
Si tratta, quindi, di malattie già studiate o di potenziali malattie “nuove”?
Sono malattie già studiate, ma che nel caso del paziente specifico non erano state identificate. Ciò è relativamente frequente perché la diagnosi di queste malattie mitocondriali e particolarmente difficile e complesso sia dal punto di vista genetico, sia da quello clinico. Inizieremo, poi, a breve a indagare altre patologie “nuove” a seconda dei progetti proposti.
È possibile, dunque, che in futuro il vostro laboratorio possa “scoprire” malattie precedentemente non individuate?
Assolutamente sì. Anche questo è uno degli scopi del nostro lavoro. Noi ci confrontiamo con i colleghi della parte clinica delle malattie rare, soprattutto in casi particolarmente difficili da trattare, e, quindi, andiamo anche a vedere se ci si trovi di fronte a malattie mai individuate prima.
Il Burlo costituisce una “fonte” sufficiente di casi per l’attività del laboratorio?
Sicuramente sì. La nostra parte clinica delle malattie rare, infatti, funge da hub per tutta la regione e, quindi, noi ci confrontiamo con le questioni relative a pazienti pediatrici che arrivano non solo da Trieste, ma da tutti gli ospedali regionali. Da quanto abbiamo avviato l’attività, a febbraio scorso, abbiamo già preso in esame otto diversi casi. Per le nostre attività stiamo, poi, anche sviluppando collaborazioni con altri centri, sia italiani, sia esteri con i quali stiamo entrando in contatto grazie al direttore scientifico, professor Zeviani.
Intervenite solo nel caso di malattie non diagnosticate o anche in casi di malattie già individuate?
In linea generale, interveniamo quando ci sono dubbi sulle diagnosi, ma in qualche caso agiamo anche su malattie già individuate proprio per cercare di analizzare la malattia non solo dal punto di vista clinico, ma anche da quello cellulare e molecolare. In questo caso lavoriamo pro futuro perché verifichiamo che tutte le caratteristiche di una malattia già nota si presentino in un dato paziente e che non ci siano caratteristiche precedentemente non individuate.