Acronimo: 
OI

Con “osteogenesi imperfecta” (OI) si intende un gruppo di patologie caratterizzate da alterazioni del tessuto connettivo (ovvero delle ossa e delle altre strutture di sostegno del nostro organismo) il cui quadro clinico varia da forme molto severe, che portano al decesso in età neonatale, a forme lievi e poco sintomatiche.

L’OI è una malattia genetica causata da mutazioni del gene che codifica la molecola di collagene, che è il componente principale delle ossa e della cute. La triade clinica classica dell’OI comprende fragilità ossea, fratture multiple, spontanee o per traumi lievi, sclere blu e sordità precoce. Possono inoltre associarsi deformità ossee, ecchimosi, anomalie della formazione dei denti, lassità ligamentosa e bassa statura. Si distinguono classicamente 4 forme di OI: la OI tipo I è la forma più lieve, esordisce nell’infanzia con la triade sintomatologica classica, e le fratture diventano meno frequenti dopo la pubertà. Le OI tipo II e III sono le più severe e i bambini che ne sono affetti hanno delle ossa così fragili che spesso presentano fratture e deformità osteoarticolari già nell’utero materno. La OI tipo II porta a morte entro il primo anno di vita, mentre la OI tipo III permette la sopravvivenza, ma causa deformazioni ossee progressive spesso irreversibili. La OI tipo IV è una forma di gravità intermedia, ma in genere è compatibile con una normale aspettativa di vita, così come la forma tipo I. Di recente, sono state aggiunte alla classificazione tradizionale tre nuove forme di OI (V, VI, VII), che sono clinicamente simili al tipo IV, ma causate da mutazioni genetiche differenti e non note.

La diagnosi di OI è suggerita dai classici segni e sintomi della malattia.

La diagnosi di OI è suggerita dai classici segni e sintomi della malattia. Per la conferma diagnostica è necessaria l’analisi istologica del tessuto malato, che deve essere quindi sottoposto a biopsia, coadiuvata dall’analisi genetica, tramite sequenziamento del DNA del paziente (basta un prelievo di sangue periferico!): attualmente sono noti 17 geni associati alla malattia. E’ inoltre possibile la diagnosi prenatale (ecografia, villocentesi, amniocentesi). I neonati con OI presentano livelli di fosfatasi alcalina normali o elevati nel sangue periferico. Vista l’ereditarietà della malattia, in presenza di un caso indice, è indicato lo screening dei familiari. Tuttavia, vi possono essere casi di mutazioni geniche di nuova insorgenza, senza che vi siano familiari affetti. Diagnosi differenziale: L’abuso su minore è una causa frequente di fratture multiple, con massima incidenza nel primo anno di vita. Differenziare clinicamente le forme di abuso da quelle di OI lieve-moderata può non essere semplice, soprattutto in assenza di una familiarità nota per OI. Le indagini strumentali (TC, densitometria ossea) sono un utile supporto alla diagnosi differenziale, ma la valutazione clinica resta fondamentale. L’OI va inoltre posta in diagnosi differenziale con numerose altre patologie a carico del tessuto connettivo, tra cui la sindrome di Bruck, la sindrome osteoporosi-pseudoglioma, la displasia fibrosa poliostotica, disordini del metabolismo calcio-fosforo, la sindrome di Cole-Carpenter e l’osteoporosi idiopatica giovanile.

Non esiste una terapia specifica per l’OI e il trattamento è solo sintomatico. I bambini con OI sono sottoposti a multipli interventi ortopedici correttivi e riparativi delle loro fratture e avviati a cicli di fisioterapia riabilitativa o all’utilizzo di supporti fisici. Importante è la prevenzione delle deformità e la limitazione delle disabilità motorie, oltre ad un adeguato sostegno psicologico. Diversi studi hanno dimostrato l’utilità dei bifosfonati, sia in formulazione endovenosa che orale, nell’aumentare la massa ossea, riducendo il rischio di frattura, in alcuni pazienti con OI: la somministrazione di questi farmaci deve comunque avvenire previa valutazione e indicazione dello specialista e sotto controllo clinico, in quanto non sono ancora del tutto noti gli effetti di tali farmaci sui bambini nel lungo termine, in particolare sulla crescita ossea. Alcuni pazienti beneficiano di trattamenti farmacologici con ormone della crescita. Risultati promettenti, ma tuttora oggetto di studio, arrivano da alcuni lavori sul trapianto di midollo osseo da donatore sano per pazienti con OI. Inoltre, la OI potrebbe essere una delle patologie candidate alla terapia genica, attualmente oggetto di ricerca preclinica.

Si distinguono classicamente 4 forme di OI: la OI tipo I è la forma più lieve, esordisce nell’infanzia con la triade sintomatologica classica, e le fratture diminuiscono dopo la pubertà. Le OI tipo II e III sono le più severe e i bambini che ne sono affetti hanno delle ossa così fragili che spesso presentano fratture e deformità osteoarticolari già nell’utero materno. La OI tipo II porta a morte entro il primo anno di vita, mentre la OI tipo III permette la sopravvivenza, ma causa deformazioni ossee progressive spesso irreversibili. La OI tipo IV è una forma di gravità intermedia, ma in genere è compatibile con una normale aspettativa di vita, così come la forma tipo I. Di recente, sono state aggiunte alla classificazione tradizionale tre nuove forme di OI (V, VI, VII), che sono clinicamente simili al tipo IV, ma causate da mutazioni genetiche differenti e non note.

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