Oggi, sabato 6 febbraio, si celebra la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili, pratiche dolorosissime e prive di alcuna utilità, purtroppo ancora diffuse.

Per mutilazione genitale femminile si intende una qualunque lesione agli organi genitali femminili per ragioni non terapeutiche, eseguita soprattutto su bambine e adolescenti, principalmente in alcuni Paesi dell’Africa e dell’Asia come Eritrea, Guinea, Egitto, Mali, India e Pakistan. Alcune mutilazioni o esiti delle stesse, possono essere molto invalidanti per le donne, tanto da non consentire una normale vita riproduttiva; esistono mutilazioni di tipo escissorio che consistono nel taglio o rimozione di parti dell’apparato genitale, come il clitoride, altre fanno riferimento a una vera e propria infibulazione, caratterizzata dal restringimento dell’orifizio vaginale tramite ‘cuciture’, che a loro volta possono essere associate a un’escissione.

Circa 200 milioni di donne convivono al giorno d’oggi con una mutilazione genitale; anche in Italia sono presenti tra le 60mila e 80mila donne che hanno subito questa pratica nei loro Paesi di origine.

«Le mutilazioni genitali femminili sono spesso sotto diagnosticate, – spiega Alice Sorz, ostetrico-ginecologo della Struttura Semplice Dipartimentale di Gravidanza a Rischio dell’Irccs Burlo Garofolo – in quanto possono essere difficili da rilevare, unitamente al fatto che le donne che hanno subito una mutilazione spesso non lo dichiarano spontaneamente per vergogna, per paura di sentirsi giudicate o perché non ritengono rilevante parlarne in quanto ritenuta una pratica normale nel loro Paese».

Nei Paesi dove vengono praticate, infatti, le mutilazioni genitali femminili sono viste come rito di passaggio che permette di entrare a far parte della comunità, e le famiglie che decidono di astenersi sono emarginate. Ci sono, inoltre, false credenze: si pensa che il clitoride possa crescere a dismisura rendendo la donna incline al tradimento, o che gli organi genitali ‘aperti’ siano sinonimo di sporcizia, mentre quelli cuciti sono visti come puliti e attraenti.
Le mutilazioni genitali femminili sono ritenute, a livello internazionale, una violazione dei diritti umani delle ragazze e delle donne. In Italia sono vietate da una legge specifica, la 7/2006 “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile” oltre che dall’art 583 bis del codice penale.

All’interno del nostro Istituto la sensibilizzazione riguardo tale tematica avviene durante la gravidanza, momento in cui la donna accede in ospedale, dove può emergere per la prima volta il problema della mutilazione.
«Lo scopo che ci prefiggiamo, – prosegue Alice Sorz – è quello di attivare una rete di sostegno per le donne sottoposte a tali pratiche e spiegare alle donne i rischi legati alle mutilazioni genitali. Essere sottoposta a mutilazione ha infatti conseguenze immediate come dolore, emorragia e infezioni che possono porre in pericolo di vita la donna, o più spesso la bambina, che viene sottoposta alla procedura, ma anche problemi a lungo termine come dolore cronico, infezioni urinarie e vaginali ricorrenti, incontinenza e maggior rischio di lacerazioni estese al momento del parto. Non sono inoltre da sottovalutare le conseguenze psicologiche e quelle legate alla salute sessuale, spesso compromessa, delle donne mutilate».

«Essendo alcuni tipi di mutilazioni difficili da riconoscere, – conclude la dott.ssa Sorz – è importante che gli operatori chiedano apertamente, con delicatezza, se le pazienti abbiano subito una mutilazione genitale, così da poter prevedere le eventuali complicanze al parto. Quando si parla con le pazienti, un approccio transculturale è fondamentale, spesso facilitato dalla presenza della mediatrice culturale, così come il supporto psicologico e il coinvolgimento del partner. È fondamentale sensibilizzare la paziente e il partner in modo da ottenere il consenso a creare una continuità assistenziale con il territorio e con i pediatri, nell’ottica di una prevenzione delle mutilazioni nelle figlie». Spesso infatti vengono organizzati dalla famiglia di origine viaggi di ritorno nel proprio Paese per sottoporre clandestinamente le bambine appena nate alla stessa pratica.

Data creazione: 
05/02/2021
Data di aggiornamento: 
05/02/2021
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