di Caterina Fazion

Il dottor Marco Rabusin, oncoematologo dell’Irccs materno infantile Burlo Garofolo di Trieste, racconta come negli ultimi anni, oltre a essere notevolmente aumentate le possibilità di guarigione dalla leucemia infantile, siano tutelate anche la qualità di vita e il diritto alla normalità di bambini e ragazzi.

Cos’è la leucemia linfatica acuta?
La leucemia linfatica acuta rappresenta il tumore più comune in età pediatrica. Rispetto ai tumori degli adulti, però, l’incidenza è cento volte inferiore: in Italia sono diagnosticati circa 250-300 nuovi casi all’anno e in Friuli Venezia Giulia ne trattiamo circa 15.

La leucemia linfatica è, per definizione, una malattia sistemica per cui le cellule tumorali, partendo dal midollo osseo, vanno a localizzarsi attraverso il torrente ematico in fegato, milza, linfonodi e anche in sedi  maggiormente sfavorevoli come cervello, occhio, testicoli, dove possono continuare a proliferare. 

Quali sono i sintomi caratteristici?
I sintomi della leucemia linfatica acuta possono essere generici come ad esempio episodi febbrili ricorrenti e aumento delle dimensioni dei linfonodi a livello latero cervicale o a livello degli organi profondi. Spesso si manifesta con i segni dell’insufficienza midollare: vista la ridotta produzione, da parte del midollo osseo, di cellule ematiche, si va incontro ad anemia, piastrinopenia e neutropenia.  Il bambino, di conseguenza, potrebbe presentare pallore e segni di sanguinamento come petecchie, sangue dal naso o un quadro di infezione grave.

Come si diagnostica?
La diagnosi avviene quando il bambino è piccolo: si tratta, infatti, di una malattia che può insorgere durante l’età evolutiva, ma che presenta un picco d’incidenza nei primi 5 anni di vita.

Dall’esordio dei sintomi alla diagnosi i tempi sono piuttosto ridotti. Un esame che permette di orientarsi in maniera piuttosto significativa è un semplice emocromo, esame di laboratorio che fornisce informazioni dettagliate sulle cellule presenti nel sangue: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine.

Qual è la prognosi della leucemia linfatica acuta?
È importante tenere a mente che la prognosi di questa malattia è legata a fattori biologici, intrinseci nella cellula, che non dipendono né dalla sua estensione, né dalla precocità diagnostica. Per questo motivo i genitori non devono fare l’errore di colpevolizzarsi: anche se si fossero accorti prima dei segni della malattia non sarebbe cambiato nulla in termini di esito.

Grazie alle analisi molecolari effettuate sul Dna e Rna estratto dal sangue del paziente, possiamo individuare le caratteristiche biologiche che ci suggeriscono una prognosi migliore o peggiore a seconda dei casi, e ci indicano quale sarà la risposta alle terapie.

La guarigione complessiva della leucemia linfatica acuta oggi si assesta intorno all’85 %. I pazienti, sulla base di caratteristiche biologiche rilevate alla diagnosi e sulla risposta  alla terapia, vengono suddivisi e trattati in tre differenti fasce di rischio: standart, con possibilità di guarigione superiori al 90 %, intermedio o a rischio elevato nei quali la percentuale di guarigione si abbassa al 70 %.

Quali sono queste terapie?
Principalmente si attuano protocolli polichemioterapici a diversa intensità a seconda del gruppo prognostico attribuito al paziente. Le rivalutazioni di malattia, eseguite mediante aspirato midollare dopo 15 giorni al termine del primo e del secondo mese di terapia, rappresentano l’elemento prognostico più significativo in grado di farci comprendere l’intensità di terapia necessaria per l’adeguato trattamento del paziente. Se ci troviamo in condizione di prognosi a più alto rischio si intensificherà il ruolo della terapia stessa.

Per anni la radioterapia è stata utilizzata nelle leucemie con infiltrazione del Sistema Nervoso Centrale o per prevenirne la possibile localizzazione, trattandosi di un “santuario” molto difficile da raggiungere con la chemioterapia sistemica.Visti gli importanti difetti cognitivi e mnemonici che la radioterapia causava, il suo ruolo è stato progressivamente ridotto e sostituito dalle somministrazioni del farmaco methotrexate, iniettato direttamente nel liquor spinale, fluido che si trova nel sistema nervoso centrale.

Quando è consigliato il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (denominato in passato trapianto di midollo)?
Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (Cse)  viene riservato in prima linea solo ai casi con prognosi peggiore che rappresentano meno del 10 % della popolazione leucemica all’esordio. Il suo ruolo è più rilevante nelle forme recidivate dove rappresenta una strategia terapeutica fondamentale.

Il trapianto rappresenta un vero e proprio strumento immunoterapico: i linfociti del donatore  sono in grado di riconoscere e distruggere le cellule tumorali residue presenti nel ricevente.

Qual è il ruolo della genetica nelle leucemie linfatiche acute?
Il 10% dei tumori pediatrici presenta una condizione genetica predisponente. Ad esempio, il bambino con la sindrome di Down ha un rischio aumentato di 100 volte di sviluppare leucemia rispetto a un bambino sano, e così vale per molte altre malattie genetiche. Questi bambini hanno  bisogno di fare screening particolari per prevenire l’insorgenza dei tumori. Allo stesso modo, in presenza di tumori rari, andremo a cercare le cause genetiche predisponenti non solo a quel tumore, ma anche a tanti altri.

Anche il ruolo della farmacogenetica è in espansione: al Burlo stiamo cercando di studiare perché alcuni soggetti producano effetti collaterali gravi rispetto ad altri, pur assumendo lo stesso tipo di farmaco. Ciò dipende dalla presenza di polimorfismi a carico di geni che codificano per enzimi e proteine che svolgono un ruolo importante nel metabolismo dei farmaci. Sviluppare questi studi è fondamentale per riconoscere i pazienti che a priori potrebbero manifestare effetti collaterali molto severi, anche mortali.

L’ambiente influenza insorgenza e prognosi della malattia?
L’ambiente conta poco in questo tipo di malattie a meno che non si parli di esposizioni a radiazioni o incidenti nucleari. Al contrario, è determinante nello sviluppo dei tumori dell’adulto dove fumo, alimentazione, esposizione a tossici di vario genere possono influenzano molto l’insorgenza della patologia.

Nel caso dei tumori infantili, sappiamo cosa succede a livello molecolare, ma non sappiamo perché quel bambino si è ammalato. Il fatto che non ci sia una causa scatenante è molto difficile da accettare da parte dei genitori che si tormentano pensando di aver fatto qualcosa di sbagliato in gravidanza o nei primi mesi di vita del bambino, ma noi togliamo loro ogni dubbio: l’insorgenza non dipende dall’ambiente in cui il bambino è nato e vissuto.

Com’è cambiato l’approccio nei confronti della leucemia linfatica acuta negli ultimi anni?
Fino a una ventina di anni fa, l’unica cosa fondamentale per i genitori era trovare qualcuno che  guarisse i propri figli, mentre tutto il resto era indifferente; oggigiorno, ci stiamo occupando non solo di guarire i bambini in maniera sempre più efficace (negli anni ‘70 la speranza di guarigione era del 20%, mentre oggi è più che triplicata), ma di garantire loro la migliore qualità di vita possibile.

Sono costantemente disponibili servizi di supporto psicologico e, inoltre, bambini e ragazzi di tutte le età possono contare sul sostegno della scuola in ospedale che permette di conservare normalità, anche nella malattia. Per rendere le giornate passate in ospedale meno lunghe e più piacevoli, stiamo sviluppando anche laboratori pomeridiani di ceramico-terapia e musico-terapia, arte e gioco. Il Covid ha fatto soffrire molte attività, principalmente la scuola in ospedale che, per ora, ha ripreso a pieno ritmo.

Cosa si sente di consigliare a proposito di leucemia e vaccini contro il Covid?
Consigliamo a tutti i genitori dei ragazzi malati di vaccinarsi. I pazienti, invece, durante la fase più intensa della chemioterapia sospendono ogni tipo di vaccinazione perché non sarebbero in grado di sviluppare una risposta immunitaria efficace. Al termine delle cure, a distanza di circa 6 mesi, potranno riprendere il loro normale calendario vaccinale.

Per quanto concerne il vaccino per il Coronavirus, questo va senz’altro somministrato, attualmente al di sopra del 12 anni, anche in pazienti che siano usciti dalla fase chemioterapica più intensa.
Il grado di accettazione di solito è molto elevato e il concetto di vaccinazione protettiva in questo contesto è ben capito.

Come viene comunicata ai bambini la diagnosi di malattia?
I bambini e ragazzi non vanno mai spaventati fornendo messaggi negativi, ma nemmeno tenuti allo scuro della situazione: le bugie non vanno mai dette. È fondamentale utilizzare comunicazioni improntate sulla positività e idonee al grado di comprensione del bambino o ragazzo.

Spesso i genitori, trovandosi in difficoltà, chiedono aiuto a medici, infermieri e psicologi per la comunicazione della diagnosi. Servono pochi messaggi precisi, chiari e pratici.

Anche la vita delle famiglie è costretta a un grande cambiamento…
La vita cambia tanto per tutta la famiglia: uno dei due genitori dovrà lasciare il lavoro per un periodo e stare con il piccolo paziente a tempo pieno. Entrano in gioco, con un ruolo determinante, tutte le associazioni di genitori,  che aiutano, anche economicamente, la famiglia del ragazzo.

Come si agisce quando le terapie non funzionano?
In questi casi bisogna lavorare fin da subito attivando un programma di cure palliative, che oggi prendono il nome di cure simultanee. C’è un gruppo di persone che si occupa proprio di questo aspetto che non è più legato alla guarigione, ma al controllo dei sintomi e al benessere psicologico ed emotivo. Si lavora molto a casa: il domicilio è diventato la sede preferenziale di cura. La propria casa può essere anche il luogo dove i genitori decidono di portare a termine il percorso con il proprio bambino, che verrà a mancare circondato dai propri affetti, in un ambiente familiare.

Ai bambini e ai ragazzi, anche nelle situazioni più complesse, è fondamentale dare una risposta onesta, lasciando nello stesso tempo una piccola finestra di speranza. Con i genitori, invece, è importante allearsi e coltivare capacità di ascolto e interazione costante. Lavorando in rete con molti centri emato-oncologici pediatrici di eccellenza, di fatto possiamo offrire il meglio delle terapie disponibili, anche sperimentali. Alle volte, tuttavia, è compito del medico informare i genitori che non c’è più spazio per ulteriori possibilità di guarigione.

Per quanti anni dopo la guarigione bambini e ragazzi sono seguiti?
Il follow up dura mediamente 5 anni dalla data di sospensione delle cure, ma poi il ragazzo viene comunque seguito sino alla maggior età per valutare l’eventuale insorgenza di effetti collaterali a distanza collegati alle terapie ricevute.

Oggi, nei paesi occidentali, 1 adulto su 1000 è un guarito da tumore pediatrico. Per questo abbiamo implementato il progetto “passaporto del guarito”: quando il ragazzo, arrivato alla maggiore età passa sotto le cure di medici per l’adulto, consegniamo un documento di sintesi dove sono inserite le informazioni importanti da sapere circa lo stato di salute del paziente, compreso l’elenco di esami e screening che sarebbe il caso effettuasse a seconda del tipo di terapia antitumorale ricevuta. Ad esempio, donne che avessero effettuato radioterapia al torace, fattore che predispone maggiormente al tumore al seno, dovranno fare screening senologici più precoci e prolungati nel tempo rispetto alle usuali strategie di screening utilizzate nella popolazione generale.

Dottor Marco Rabusin, oncoematologo dell’Irccs materno infantile Burlo Garofolo di Trieste

Dottor Marco Rabusin, oncoematologo dell’Irccs materno infantile Burlo Garofolo di Trieste

Data creazione: 
30/11/2021
Data di aggiornamento: 
30/11/2021
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