Cambia l’approcio nel trattamento delle allergie alimentari IgE mediate. L’efficacia del nuovo metodo, che sarà protagonista di un incontro alla prossima rassegna Trieste Next, illustrata dalla dottoressa Laura Badina

ALLERGIE ALIMENTARI: OTTIMI RISULTATI DALLA DESENSIBILIAZIONE ORALE NEI LATTANTI SPERIMENTATA DAL GRUPPO DI RICERCA DEL BURLO

L’efficacia del nuovo metodo, che sarà protagonista di un incontro alla prossima rassegna Trieste Next, illustrata dalla dottoressa Laura Badina

 

Dottoressa Badina come si sono combattuti finora i problemi derivanti dalle allergie alimentari?

L’approccio principale all’allegria alimentare è sempre stato quello di evitare l’alimento offendente eliminandolo dalla dieta, ma le cose stanno lentamente cambiando, almeno per quanto riguarda l’allergia alimentare IgE-mediata (che coinvolge, cioè, le immunoglobuline di tipo E). L’allergia alimentare IgE-mediata causa sintomi immediati, ossia entro le due ore (ma spesso si tratta di pochi minuti) da quando l’allergene è ingerito e che nella sua forma più grave può portare allo shock anafilattico.
Fino a poco tempo fa, la dieta di esclusione è stata usata anche a scopo preventivo. Negli anni 80 si supponeva, infatti, che ritardare l’introduzione degli alimenti allergizzanti (latte, uova, grano, arachide, frutta a guscio, ecc.) durante lo svezzamento del lattante potesse prevenire la comparsa di allergia alimentare.

Era una strada corretta?

Questa ipotesi, in realtà, era stata fatta in assenza di dati epidemiologici che potessero supportarla e nell’errata convinzione che la sensibilizzazione avvenisse attraverso il tratto gastrointestinale ancora immaturo, poiché spesso l’allergia alimentare si manifesta già nel primo anno di vita, in corso di svezzamento. Le principali società scientifiche internazionali raccomandavano non solo uno svezzamento tardivo nei bambini a rischio di allergia per familiarità o perché affetti da dermatite atopica, ma anche di mantenere a dieta per i principali allergeni alimentari anche la madre, sia in gravidanza che durante l’allattamento. Tutto ciò ha portato negli anni successivi a un’impennata dei casi di anafilassi soprattutto nella fascia d’età che andava da 1 a 4 anni. Solo nel 2008 il professore inglese George Du Toit e colleghi, confrontando l’incidenza di allergia alle arachidi in una popolazione di bambini anglosassoni con una di ebrei israeliani, dimostrarono che la strada terapeutica seguita fino ad allora era sbagliata. Ai bambini anglosassoni, infatti, le arachidi erano vietate fino ai 3 anni, mentre i piccoli israeliani venivano svezzati dai 6 mesi con il Bamba, un dolce contenente burro d’arachide. Sorprendentemente l’incidenza dell’allergia all’arachide era decisamente più elevata a cinque anni nella popolazione anglosassone e spesso si manifestava già la prima volta in cui il bambino assumeva questo alimento.


Quale fu l’effetto di quello studio?

Grazie a studi come quello di Du Toit, si iniziò a comprendere come la sensibilizzazione allergica non avvenga attraverso il tratto oro-gastro-intestinale, ma attraverso la cute e le vie respiratorie. L’intestino è l’organo fisiologicamente deputato a entrare in contatto con gli allergeni alimenti e a sviluppare una serie di meccanismi regolatori necessari allo sviluppo della tolleranza orale verso gli alimenti. La dieta preventiva influiva negativamente lasciando il piccolo, spesso geneticamente predisposto all’allergia, privo della possibilità di sviluppare questi meccanismi regolatori ed esposto agli allergeni alimentari attraverso la via cutanea e respiratoria. È stato infatti dimostrato che le molecole alimentari si trovano nella polvere domestica e rimangono a lungo nella saliva dopo essere stati consumati, così anche un bacio della mamma può essere fonte di sensibilizzazione. Di fatti è più facile che il lattante sviluppi allergia verso alimenti comunemente mangiati da chi lo circonda e che a lui non vengono offerti ed è più a rischio il bambino affetto da dermatite atopica, la cui cute infiammata lo protegge male dagli agenti esterni.


Cosa è cambiato grazie a questi nuove scoperte?

Per il mondo dell’allergologia si è trattato di una vera “rivoluzione copernicana” e le linee guida internazionali dovettero fare dietro front scoraggiando l’attitudine a ritardare l’introduzione degli alimenti allergizzanti a dopo l’anno di vita. In seguito, altri studi, per lo più incentrati sull’arachide e l’uovo, hanno dimostrato, in maniera più o meno rigorosa, che anticipare l’introduzione degli alimenti allergizzanti (tra i 4 e i 6 mesi) riduce l’incidenza di allergia alimentare a quegli stessi alimenti. D’altra parte, da molti anni era nota la potenzialità terapeutica della desensibilizzazione orale o immunoterapia orale, che permette di ridurre la reattività allergica di un individuo attraverso la somministrazione costante (giornaliera) di piccole quantità dell’allergene alimentare che nel tempo vengono progressivamente incrementate. Questa terapia è stata sviluppata per le gravi allergie alimentari persistenti, quelle cioè che rimanevano oltre l’età infantile e che avevano già causato uno o più episodi anafilattici da ingestione involontaria dell’alimento colpevole. La dieta di esclusione infatti non è una garanzia di sicurezza, giacché spesso bastano piccole quantità dell’allergene per scatenare una reazione anche grave, e va affiancata alla continua disponibilità di farmaci per gestire l’emergenza (l’auto-iniettore di adrenalina in primis) e a comportamenti di evitamento di molte situazioni sociali di tipo conviviale. La desensibilizzazione orale nell’allergia persistente è un percorso lungo e difficile, spesso costellato di reazioni avverse e complicato dal vissuto dei pazienti, che dopo aver scrupolosamente evitato un determinato cibo da loro considerato alla stregua di un veleno, continuano a provare avversione per esso anche quando le cose vanno bene e l’alimento viene piano piano tollerato.

Qual è stata l’attività intrapresa dalla Struttura semplice di Allergologia, Dermatologia e Trattamento dell’asma del Burlo?

Alcuni gruppi di ricerca, tra cui il nostro, hanno provato ad avviare la desensibilizzazione orale al momento della diagnosi di allergia alimentare, nel lattante, con ottimi risultati a fronte di minori e meno gravi effetti collaterali. Le tempistiche con cui questi lattanti hanno potuto assumere liberamente l’alimento in causa come qualunque altro bambino, latte, uovo o arachide che fosse, sono state sorprendenti. E anche se per il mondo della medicina basata sull’evidenza si tratta di esperienze da validare su più larga scala, la strada sembra promettente ed è anche facile speculare sul perché lo sia: il sistema immunitario del bambino piccolo è fisiologicamente più malleabile e il lattante non ha ancora interiorizzato le ansie parentali e di chi lo circonda rispetto all’alimento che gli ha causato allergia e lo accetta come qualunque altro cibo che la madre gli offra.
Del resto, questo è ciò che facevano le nonne prima degli anni Ottanta, quando le allergie alimentari facevano meno paura, forse anche perché in maggior numero restavano confinate all’età infantile.

Dott.ssa Laura Badina

Data creazione: 
02/08/2022
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