«How Close Can We Look Into the Fetus?», ovvero: quanto vicino possiamo guardare dentro il feto? È la domanda che si sono poste in uno studio recentemente pubblicato sul Journal of Clinical Ultrasound la Prof.ssa Tamara Stampalija Responsabile della Struttura di Medicina fetale e Diagnostica prenatale dell'IRCCS Burlo Garofolo e la Dott.ssa Maria Sole Scalia, medico in formazione presso la Scuola di Specialità in Ostetricia e Ginecologia dell’Università degli Studi di Trieste.
La risposta, oggi, è sorprendente: grazie all’ecografo 3D di ultima generazione (Voluson Expert 22, GE Healthcare), al Burlo di Trieste possiamo esplorare strutture minuscole come l’occhio fetale, grande appena pochi millimetri. Una tecnologia che ha dato vita a una Scuola specialistica riconosciuta a livello nazionale e internazionale, ha già consentito interventi clinici precoci e di tipo multidisciplinare, e che oggi apre nuove prospettive nello studio del cervello fetale e delle sue complesse strutture anatomiche, con metodiche originali ed approcci innovativi sviluppati internamente.

 

Intervista a cura della Direzione Scientifica - Direttore Scientifico Prof. Massimo Zeviani grazie al supporto della dott.ssa Lorenza Masè. Si ringrazia per le foto la dott.ssa Denise Zerjal.

 

 

 

Prof.ssa Stampalija, perché avete scelto proprio l'occhio per questo studio?

«L’occhio fetale è piccolo e complesso, un banco di prova perfetto. Se riusciamo a vedere bene una struttura così delicata, significa che possiamo applicare la stessa precisione ad altre aree sensibili del feto. Inizialmente l’ecografo era destinato allo studio funzionale del cuore fetale, ma quando con la dott.ssa Scalia abbiamo provato a esplorare l’occhio, è apparso qualcosa di straordinario: un vero atlante anatomico in movimento. Da quel momento abbiamo capito che dovevamo cambiare prospettiva: non limitarci alle strutture abituali, ma cercare ciò che non avevamo mai pensato di poter vedere.»

 

Quali anomalie oculari potete identificare prima della nascita?

«Possiamo individuare precocemente cataratte congenite, ipoplasie (sviluppo incompleto di parti dell'occhio) e stiamo lavorando sullo studio del chiasma ottico, una struttura molto difficile da esplorare con l’ecografia. Questa capacità di osservazione precoce è fondamentale: ci consente non solo di anticipare il tipo di assistenza che il neonato potrebbe richiedere alla nascita, ma anche di coinvolgere fin da subito l’intero gruppo di lavoro multidisciplinare del Burlo nella definizione del percorso clinico. Anche se la funzionalità del nervo ottico non è ancora valutabile in epoca prenatale, oggi possiamo studiare morfologie prima inaccessibili e avviare laddove necessario un follow-up mirato e multidisciplinare fin dall’epoca prenatale.»

 

Perché l’ecografia 3D è innovativa rispetto a quella bidimensionale?

«L’ecografia bidimensionale classica restituisce immagini piatte: sta all’operatore “costruire” mentalmente la terza dimensione muovendo la sonda e interpretando le sezioni anatomiche. Con la tecnologia 3D, invece, possiamo acquisire un intero volume, ovvero una porzione completa dell’anatomia fetale, che viene poi rielaborata con software dedicati per ottenere immagini tridimensionali statiche, analizzabili anche a posteriori. Esiste anche la modalità 4D, cioè il 3D in tempo reale, che utilizziamo ad esempio per valutare la motilità degli arti o le espressioni facciali. Questo approccio ha un impatto positivo sia sulla qualità della diagnosi sia sulla formazione: grazie all’archiviazione dei volumi, possiamo creare veri e propri database clinici da utilizzare per la didattica e l’aggiornamento continuo. Questa tecnica ci permette inoltre anche di diminuire la durata dell’esame e l’ansia dei genitori perché il volume acquisito può essere elaborato successivamente con calma.»

 

Ci racconta come il Burlo è diventato un Centro di Alta Formazione per l’ecografia 3D…
«Ogni anno teniamo a Trieste un corso teorico-pratico, altamente specialistico e a numero chiuso, giunto ormai alla sua sesta edizione, frequentato da medici da tutto il territorio nazionale e anche dall’estero. Accettiamo solo 20 partecipanti, proprio per garantire un’esperienza intensiva su workstation dedicate. Il nostro obiettivo è chiaro: avere un macchinario sofisticato non basta. È come guidare una Ferrari: devi saperlo fare.»

 

Quali limiti presenta questa tecnologia?

«Le immagini sono affascinanti, ma possono essere mal interpretate o sovrastimate. Per questo l’esperienza e la formazione degli operatori restano centrali: bisogna saper leggere correttamente le immagini, e soprattutto discuterle in équipe multidisciplinare. In altre parole, bisogna saper contestualizzare correttamente tutte le informazioni che abbiamo a disposizione nel contesto clinico e non sempre è facile trattandosi di un feto ancora in via di sviluppo.»

 

Qual è stato un caso in cui questa tecnologia al Burlo ha fatto davvero la differenza?
«Recentemente abbiamo diagnosticato precocemente una rara macrostomia bilaterale (una malformazione facciale con schisi che rende la bocca particolarmente ampia lateralmente, coinvolgendo tessuti molli fino all’area preauricolare) con anche la componente scheletrica. Il caso è stato pubblicato sulla rivista più importante del settore, Ultrasound in Obstetrics & Gynecology. La ricostruzione in 3D ha permesso una diagnosi molto precisa, consentendo di preparare tempestivamente un intervento multidisciplinare con neonatologi, odontostomatologi e radiologi e permettendo una valutazione approfondita e l’esclusione di altre anomalie associate. Nel caso delle schisi maxillo-facciali, alla nascita il neonato deve essere preso in carico, evitando possibili complicazioni cliniche. Spesso l’alimentazione spontanea non è possibile, per cui un adeguato counselling sulle modalità di alimentazione necessarie nel postnatale è di cruciale importanza. Inoltre, l’immagine 3D in prenatale prepara i genitori ad affrontare meglio l’impatto postnatale  della malformazione congenita.»

Dopo cuore e occhio, quale sarà la prossima frontiera?
«Lo studio del sistema nervoso centrale nel feto è la sfida più promettente. Al Burlo stiamo esplorando con l’ecografia 3D strutture cerebrali estremamente complesse, come il verme cerebellare, una regione del cervelletto cruciale per la coordinazione motoria e l’equilibrio, per cui abbiamo sviluppato una tecnica originale specifica, e il chiasma ottico, punto di incrocio dei nervi ottici, fondamentale per la visione. Con questa tecnica possiamo analizzare e quantificare parametri anatomici precedentemente riservati solo alla risonanza magnetica, aprendo prospettive innovative nella diagnosi precoce e nella comprensione approfondita delle anomalie neurologiche fetali.
Un altro campo in espansione è la sindromologia facciale: l’ecografia 3D consente di cogliere precocemente alcuni tratti del volto associabili a sindromi genetiche rare. Anche in questo caso, l’interpretazione richiede sempre una lettura integrata con la consulenza genetica e il contesto clinico complessivo.»

 

 

Data creazione: 
15/09/2025
Data di aggiornamento: 
15/09/2025

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