Nel 2010 l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha pubblicato dei dati epidemiologici che mostrano che, negli ultimi trent’anni, la mortalità materna dovuta a complicazioni legate alla gravidanza sia diminuita, nei Paesi appartenenti all’ONU, del 35%

Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nello stesso anno ha reso noto un rapporto, ispirato ai principi di “Making pregnancy safer”, in cui si evidenziano le diverse percentuali di mortalità materna nel mondo e in cui vengono fornite possibili strategie per migliorare la salute delle madri nel mondo, garantendo un'assistenza qualificata prima, durante e dopo la gravidanza.

Recentemente è stato pubblicato sulla rivista The Lancet uno studio che analizza la distribuzione dei tassi di mortalità per complicazioni legate alla gravidanza e per singolo Paese.

Secondo i dati pubblicati sul Lancet l’Italia è la nazione dove il tasso di mortalità materna è il più basso al mondo. Al contrario, in otto Paesi, il tasso di mortalità materna è aumentato: tra questi, gli Stati Uniti, il Canada, la Norvegia, l’Afghanistan e lo Zimbabwe. Sebbene questi dati possano indicare una correlazione tra il tipo di sistema sanitario nazionale, la qualità di cure fornite alle pazienti e la diminuzione di mortalità materna, è necessario valutarli con cautela. Il dato italiano infatti presenta un bias di informazione: nel 2010 l’ISS, con uno studio multicentrico di record linkage basato sulle schede di morte Istat e le schede di dimissione ospedaliere (SDO), ha dimostrato come la mortalità materna in Italia sia in realtà sottostimata e come questa vari notevolmente in relazione all’area geografica.

Lo studio dell’ ISS, finanziato dal Ministero della Salute, ha inoltre valutato, nelle regioni partecipanti, i casi di grave patologia materna, definiti near miss dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Per “near miss” si intendono quelle donne che in gravidanza hanno manifestato una condizione morbosa grave, tale da esporle ad un pericolo di morte, senza che tuttavia si verificasse il decesso. Secondo uno studio pubblicato da Waterston nel 20015, la morbidità materna severa è stimata attorno al 12   dei parti. Le donne di età superiore ai 35 anni, quelle di nazionalità straniera, con un basso livello di istruzione, o che sono state precedentemente sottoposte a taglio cesareo, sono esposte ad un rischio maggiore di morbidità, in analogia a quanto osservato per le morti materne. Tra le cause più frequenti di “near miss” si osservano le emorragie ed i disordini ipertensivi della gravidanza. Per quanto riguarda queste cause, la letteratura descrive un ampio margine di evitabilità, stimato intorno al 50%, ipotizzando così notevoli potenzialità di intervento, anche nel nostro Paese, e giustifica l’importanza del tema in termini di salute pubblica.

Negli ultimi anni è emerso un crescente interesse verso la correlazione tra morbidità e mortalità materna: in passato questi indici statistici sono stati analizzati in modo distinto l’uno dall’altro, ma recentemente è diventato sempre più chiaro che un’analisi combinata potrebbe permettere un’identificazione migliore delle lacune del “sistema di cura”. La relazione tra morbidità e mortalità materna in gravidanza è stata descritta come un “continuum di eventi avversi legati alla gravidanza”.

Nel report inglese CEMACH è stato suggerito che le indagini sulla morbidità materna non forniscano informazioni esaustive sulla mortalità materna, ma che possano essere complementari ad esse. Risulta particolarmente interessante l’osservazione su come la progressione tra morbidità e mortalità materna sia dipendente dalla capacità clinica e decisionale del medico. Questo dato suggerisce la necessità di una precoce identificazione della gravida ad alto rischio e il ruolo maggiore della prevenzione primaria e secondaria della morbidità e mortalità materna.
In Inghilterra, l’istituto nazionale sulla salute (NICE), suggerisce che l’identificazione dei pazienti a rischio avvenga attraverso l’utilizzo di scores universalmente riconosciuti, capaci di distinguere tra pazienti particolarmente a rischio e non, e come ciò permetta una distinzione per livelli di cura tra i vari pazienti. La Società di Cure Intensive raccomanda una classificazione dei pazienti critici in base alla necessità clinica dei pazienti, secondo quattro livelli di cura.

Le pazienti che corrispondono al livello 0 sono quelle i cui bisogni assistenziali possono essere raggiunti in un normale reparto di degenza. Le pazienti che necessitano di un supporto respiratorio avanzato oppure richiedono il trattamento di due apparati diversi, si collocano al livello 3, che corrisponde ad un reparto di terapia intensiva (ICU). Le pazienti che appartengono ad un livello di cura 1 o 2 sono pazienti che necessitano di un monitoraggio stretto, per la presenza di una patologia evolutiva, per l’insufficienza di un singolo apparato, per il monitoraggio post-operatorio oppure per il trasferimento di una paziente da un livello di cura superiore.

È proprio con lo scopo di colmare l’enorme divario tra l’assistenza fornita in una ICU e quella garantita in un normale reparto che è stata concepita la terapia semi-intensiva o high dependency unit (HDU). Questo tipo di assistenza garantisce cure di livello adeguato per pazienti le cui criticità non permettono una adeguata gestione ordinaria, ma che al tempo stesso hanno esigenze minori rispetto a quelle di pazienti in terapia intensiva. Ciò che deve apparire chiaro è che la classificazione tra livelli di cura non rappresenta uno schema rigido, ma che la distinzione dei pazienti in base alle loro esigenze permette un’adeguata distribuzione delle cure ai pazienti, un miglioramento del tasso di morbidità e mortalità e un risparmio di costi per il sistema sanitario. Infatti può accadere che alcuni pazienti vengano ammessi alle cure semintensive come “step down” da una ICU, oppure l’inverso, quando alcuni pazienti che presentano un livello 2 di cura devono essere trasferiti in una ICU per un peggioramento del quadro clinico. In questo modo esiste una corrispondenza diretta tra gravità della patologia e assistenza.
 
A tal proposito è interessante far riferimento al concetto “payment by results”, introdotto nel piano del National Health Service (NHS) del 2004, in cui si prevede che l’ospedale venga finanziato in base al lavoro prodotto, secondo un piano tariffario nazionale. È stato osservato che la costituzione di una HDU, secondo i criteri sopra esposti, possa portare ad importanti benefici finanziari legati ad una corretta allocazione di risorse alla ICU e alla HDU, sia a livello nazionale sia all’interno dello stesso ospedale, e alla riduzione dei costi.

La presenza di un’unità di terapia semi-intensiva può inoltre prevenire la presenza nello stesso ambiente di pazienti che necessitano di terapia intensiva e di pazienti che hanno un livello di criticità inferiore.

Tra i vantaggi della terapia semi-intensiva bisogna inoltre annoverare la possibilità di riconoscere e trattare precocemente le alterazioni patologiche, favorendo una diminuzione della morbidità e della mortalità in questi pazienti critici.
 
In Gran Bretagna, meno del 2% delle ammissioni alla cure intensive avvengono per cause ostetriche (principalmente per disordini ipertensivi e per emorragie massive), a differenza dei paesi sottosviluppati, in cui si raggiunge il 10%. Tra queste, il 50-80% sono dovute ad una causa ostetrica diretta, mentre le rimanenti avvengono per una causa medica o chirurgica. La maggior parte delle pazienti vengono ricoverate in queste unità nel periodo post-partum, generalmente per periodi molto brevi, spesso per un monitoraggio post-taglio cesareo. La ventilazione meccanica è necessaria nel 50% dei casi e questa bisogna sottolinearlo è un dato molto forte.

Adifferenza di altri pazienti ammessi all’ICU, le pazienti ostetriche sono più giovani, e generalmente non hanno una storia di patologie. Questo si riflette nella loro percentuale di sopravvivenza aumentata, se comparata alla maggioranza degli accoglimenti in terapia intensiva, con una mortalità che in UK è del 2-3% per cause ostetriche e del 20% nella popolazione non ostetrica. Su 14/100,000 madri morte in UK nel triennio 2003-2005, un terzo erano state ammesse alla ICU. Bisogna inoltre tener conto che la morbidità e mortalità fetale riflettono l’outcome materno. Anche se il feto si adatta a vivere in un ambiente relativamente ipossico, la mortalità perinatale può essere elevata fino al 25% dei casi. Se la madre presenta una situazione critica, il parto pretermine può essere indicato, causando un aumentato rischio di complicanze neonatali quali la ARDS, l’ittero, l’emorragia intracranica e l’enterocolite necrotizzante.

È stato osservato che tuttavia la maggior parte dei ricoveri ostetrici in ICU sono ricoveri impropri, in quanto non tutti gli ospedali possiedono HDU e questo è un altro dato molto forte che deve obbligarci a meditare sui criteri di accesso alle ICU e soprattutto sulla grande opportunità costituita appunto dalla HDU.

L’utilizzo di protocolli nello sviluppo dell’HDU permette di discriminare tra la necessità di ammettere o dimettere le pazienti dalle terapie semintensive. La decisione di ammettere una donna all’HDU deve essere multidisciplinare, coinvolgendo lo specialista ginecologo, l’ostetrica e l’anestesista.


L’assistenza della gravida ad alto rischio è un mondo complesso e sfaccettato. Il ruolo della HDC in questi casi è quello di garantire le cure appropriate a quelle donne a rischio che hanno sviluppato una o più morbidità durante tutto il corso del periodo pre e post-natale. Come già indicato in precedenza, risulta fondamentale il pronto riconoscimento della malattia nella paziente in gravidanza, l’identificazione della gravida ad alto rischio e la presenza di cure dedicate. Il precoce riconoscimento della gravida ad alto rischio permette di programmare strategie multidisciplinari15. Il precoce trasferimento delle pazienti a rischio in strutture dedicate risulta uno step essenziale nelle cure (Figura 1) ed è la chiave per la prevenzione della morbidità e mortalità materna.
 
Alcuni studi indicano che una HDU in media trasferirà 5 pazienti all’anno all’ICU, e che la percentuale di accoglimenti ad una terapia semi-intensiva sia pari all’1% dei parti annui.
Le percentuali di ammissioni materne all’HDU e ICU e la mortalità materna dipenderanno da un numero di fattori che includono la possibilità di ammettere una paziente ad un ICU (capace di fornire supporto multi-organo) e la co-disponibilità di centri HDU, che possono gestire l’insufficienza di un singolo apparato (livello 1-2 di cura)


Anche il Royal College of Anaesthesia prevede che, in un anno, la percentuale di ricoveri in una HDU raggiunga l’1% delle nascite, enfatizzando così la necessità di garantire in tutte le unità ostetriche un’assistenza semi-intensiva.
 
Lo sviluppo delle unità di MHDU richiede una spesa sanitaria significativa. Le ristrettezze economiche sono uno dei fattori maggiori limitanti l’estensione di questi servizi negli ospedali. È stato stimato che solo il 30% delle unità in UK hanno una clinica anestesiologica dedicata.
Il report CEMACH7 ha suggerito che, in assenza di indicazioni a livello nazionale, gli ospedali dovrebbero adottare uno score di riconoscimento precoce dei pazienti a rischio, così da poter eseguire un triage adeguato e una distribuzione dei pazienti negli ospedali dotati di centri HDU e ICU. Attualmente tuttavia non esistono scores universalmente riconosciuti. Esistono numerose difficoltà potenzialmente associate allo sviluppo di uno score come quello che viene proposto nel rapporto. Innanzitutto le variazioni fisiologiche associate alla gravidanza rendono lo score non applicabile come alla popolazione generale. È possibile che l’utilizzo di uno score per la popolazione adulta nelle donne in gravidanza aumenti la medicalizzazione delle nascite e il carico di lavoro per le unità di terapia intensiva e semi-intensiva, che sono spesso già sovraccaricate. L’identificazione di uno score per la paziente con gravidanza ad alto rischio permetterebbe tuttavia il precoce riconoscimento delle condizioni critiche e potrebbe facilitare la comunicazione tra i membri del team multidisciplinare. L’utilizzo di uno score comunque non esclude il giudizio clinico né determina di per sé l’ammissione della paziente all’HDU/ICU.
 
In uno studio del 2008 vengono calcolate le necessità di posti letto per HDU, attraverso l’identificazione dei possibili candidati (126 pazienti di livello 2) tra i 1,391 pazienti sottoposti a ricovero nei 57 giorni esaminati. Lo studio afferma che l’apertura di un livello 2 di cura richiede un iniziale investimento finanziario, ma a lungo termine può portare ad un beneficio sia economico che per i pazienti.

Anche la diminuzione della richiesta di posti letto al reparto di ICU, permette una maggiore cura per i pazienti che necessitano di ICU.

Le risorse umane e le dotazioni in carico alla HDU possono inoltre essere ricavati mediante spostamenti da altri reparti. Nello studio di Garry si osserva tuttavia come spesso i candidati per il livello 2 di cura ricevano un trattamento infermieristico intensivo, e quindi la necessità di richiedere ulteriore personale è minima. Resta comunque indubbio che tali spostamenti avvengano a scapito di altri pazienti che richiedono un livello inferiore di cure. Inoltre il personale medico e infermieristico deve essere formato per qualsiasi evenienza, con aumento dei costi.
 
Di seguito illustreremo alcuni requisiti tecnici per l’HDU, ricordando che, cosa più importante è la presenza di collegamenti validi con i dipartimenti di emergenza – urgenza, il blocco operatorio e di servizi di supporto funzionali. È sempre più comune il riscontro di HDU in prossimità della sala parto, per garantire il facile accesso in caso di necessità, e dovrebbe presentare uno staff preparato. L’estensione dell’uso dell’HDU al triage, al monitoraggio post-partum o al monitoraggio delle pazienti sottoposte ad induzione del travaglio di parto in ogni caso esula dal concetto di HDU e questo merita di essere sottolineato.
 

Requisiti strutturali

L’area deve possedere minimo 4 posti letto (pl). L’accesso alla sala di terapia semi-intensiva deve essere controllato dal personale. E’ necessario che i collegamenti ai servizi di supporto, come l’area di emergenza-urgenza, la sala parto, il blocco operatorio siano rapidi e funzionali. Deve essere possibile la visione diretta dei pazienti dalla postazione infermieristica o in alternativa tramite una videosorveglianza. superfici di pavimenti, pareti e soffitti continue, non scalfibili, lavabili e trattabili con disinfettanti, raccordate ad angoli smussi ampiezza delle porte e dei percorsi all’interno dell’U.O. tale da consentire lo spostamento dei letti pensili e/o travi a soffitto per l’appoggio di apparecchiature e presidi per favorire l’accesso, le manovre e la pulizia. Deve essere previsto un adeguato spazio dietro alla testata letto per garantire le manovre assistenziali .
 

Requisiti tecnologici

L’impianto di climatizzazione deve garantire una temperatura interna invernale ed estiva compresa tra i 20 e 24 °C una umidità relativa estiva e invernale compresa tra 40 e 60% un numero di ricambi aria/ora (aria esterna senza ricircolo) pari a 6 v/h un numero di ricambi aria/ora (aria esterna senza ricircolo) pari a 10 v/h nelle aree destinate allo stoccaggio temporaneo dei materiali sporchi. Devono essere garantite la bonifica dell’aria attraverso filtri semiassoluti, in grado di trattenere le particelle del diametro di 5 micron velocità dell’aria nelle zone di degenza non superiore 0.8 m/sec. impianto di aspirazione centralizzato (vuoto) tale da garantire una pressione minima di aspirazione di 500mmHg (40l/min per ciascuna presa) impianto centralizzato di gas medicali impianto allarme di segnalazione esaurimento dei gas medicali. Nella U.O. devono essere presenti: lampada scialitica anche portatile, aspiratori per bronco aspirazione, un defibrillatore possibilmente corredato di stimolazione cardiaca transcutanea, un diafanoscopio a parete, frigoriferi per la conservazione dei farmaci ed emoderivati, stimolatore cardiaco per stimolazione esterna disponibile sistemi per respirazione in CPAP in relazione al case mix e al n° di pl respiratori automatici dotati anche di allarme per deconnessione dei pazienti in relazione al case mix e al n° di pl bronco fibroscopio disponibile, la funzione apparecchio radiologico disponibile attrezzatura per il trasporto su barella del paziente critico comprendente monitor/defibrillatore con ECG, NIBP; saturimetro, bombola di ossigeno, respiratore portatile, una presa per apparecchio di radiologia per area di degenza. 1 lavello ogni 4 pl., con rubinetti ad apertura non manuale ed asciugatura usa e getta per le strutture esistenti 1 ogni 2 pl per le strutture di nuova progettazione 1 ogni pl per le degenze singole.
 
Per ogni posto letto devono essere presenti:

  • 1 sistema di allertamento
  • 1 per la degenza singola
  • 1 per area di degenza
  • una sorgente luminosa
  • 6 prese di corrente per strutture esistenti
  • 10 per le strutture di nuova progettazione,
  • Prese vuoto: 1 per pl
  • Prese per O2 : 1 per pl
  • prese per aria compressa : 1 pl
  • letto tecnico con possibilità di assunzione della posizione di trendelemburg e anti-trendelemburg, dotato di presidi antidecubito
  • sistema di ventilazione manuale
  • sistema di aspirazione pompe siringa e pompe volumetriche secondo necessità
  • pompa per nutrizione enterale secondo necessità di monitoraggio del paziente
  • monitor per la rilevazione dei parametri vitali
  • allarmi sonori e visivi

Requisiti organizzativi

Personale medico

Deve essere garantita la presenza di un medico specialista dedicato (ore 8-20), 7 giorni su 7. Nelle ore notturne deve essere garantita la presenza medica specialistica anche tramite guardia interdivisionale. Deve essere presente un referente per garantire la continuità assistenziale e devono essere dedicate linee guida, procedure e protocolli per i singoli aspetti delle patologie in esame e dei pazienti in cura.

Personale infermieristico

Deve essere previsto un infermiere ogni quattro posti letto. Una terapia semintensiva deve avvalersi di procedure, linee guida, protocolli per quanto riguarda i principali aspetti o settori dell’assistenza infermieristica al paziente.

Cartella medica e infermieristica

Come per tutti i pazienti deve essere prevista la cartella medica e infermieristica. Inoltre deve essere considerata l’evoluzione degli indici e dei punteggi di gravità, generali e più specifici. I parametri vitali monitorizzati saranno registrati con la data e l’indicazione oraria.

Saranno necessari periodici audit multidisciplinari volti a verificare indicazioni e risultati dell’assistenza semintensiva e patologica fra Liver-Unit della stessa area vasta o regione.

Nelle ultime due pagine sono rappresentati due progetti di una singola postazione e di una sala di terapia semiintensiva con quattro posti letto, che possono servire come ipotesi organizzativa e progettuale.

Amministrazione Trasparente