di Caterina Fazion

La dottoressa Marianna Lucafò, ricercatrice di Farmacologia clinica nel Laboratorio di diagnostica avanzata traslazionale dell’Irccs “Burlo Garofolo”, illustra le ricerche in atto utili a valutare l’efficacia farmacologica delle terapie per le malattie infiammatorie croniche intestinali (Mici) nei giovani pazienti.

Dottoressa Lucafò, cosa sono le Mici?
Si tratta di malattie infiammatorie croniche del tratto gastrointestinale che comprendono il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa. Possono insorgere in età pediatrica, anche nella primissima infanzia. Soprattutto in questi casi, la predisposizione genetica sembra avere un ruolo importante. Il microbiota, insieme di microorganismi che popolano il nostro intestino, può avere un’influenza consistente nell’insorgenza di questa malattia, così come lo stile di vita.
 
Quali sono i sintomi tipici?
La sintomatologia tipica comprende dolore addominale, rallentamento della crescita, sangue nelle feci e diarrea. In presenza di questi campanelli d’allarme, i pazienti vengono sottoposti a un esame endoscopico che, insieme alla valutazione di alcuni parametri marker di laboratorio, confermeranno o meno la presenza della malattia infiammatoria e permetteranno di scegliere la terapia più adeguata.
 
In cosa consiste il trattamento?
Non esiste una cura farmacologica definitiva: si tratta infatti di una malattia in cui periodi di remissione, dove il paziente sta meglio, si alternano a periodiche riacutizzazioni. Per questo motivo, presso il nostro Irccs, sono in atto una serie di studi che si prefiggono di aiutare il clinico a personalizzare la terapia rendendola più efficace e permettendo una remissione più duratura.
 
Attualmente, per trattare le Mici, sono utilizzati vari farmaci, alcuni impiegati per indurre la remissione della malattia, come ad esempio i glucocorticoidi e gli aminosacilati e altri, come le tiopurine, per mantenere il miglioramento della malattia.
 
Questi farmaci sono efficaci?
I glucocorticoidi sono degli ottimi antinfiammatori, tuttavia, sono somministrati per periodi limitati perché hanno molti effetti collaterali rischiosi per i bambini come ipertensione, rallentamento della crescita e  depressione. Se la malattia è particolarmente grave, il clinico può decidere di utilizzare farmaci biologici (come gli anti Tnf-α,  inibitori del fattore di necrosi tumorale), impiegati sia per indurre, sia per mantenere la remissione.
 
Grazie alle nostre attività di ricerca, svolte nel Laboratorio di diagnostica avanzata traslazionale, sotto la guida della professoressa Giuliana Decorti, in costante collaborazione con la Gastroenterologia del Burlo, stiamo cercando di individuare dei sistemi affidabili per monitorare la reale efficacia di questi farmaci. Ad esempio, per quanto riguarda i glucocorticoidi, alcuni pazienti rispondono bene, altri sono resistenti, altri dipendenti.
 
Cosa significa?
Se i pazienti, trattati per quattro settimane con alte dosi del farmaco, non rispondono, sono considerati resistenti, se invece, pur rispondendo bene dopo le prime settimane, hanno una riacutizzazione durante lo scalo del dosaggio, vengono definiti dipendenti.
 
Si è notato che, nel sangue dei pazienti resistenti, vi è un’aumentata presenza di un particolare Rna non codificante. Misurarne i livelli nelle cellule del sangue dei pazienti, come stiamo facendo al Burlo, può dare un’idea, prima dell’inizio della terapia, di quella che sarà l’efficacia del farmaco su un determinato soggetto: in presenza di alti livelli di questo Rna, si potrebbe evitare di somministrare il farmaco, data la probabile inefficacia dello stesso, scegliendone uno diverso. Questo approccio vuole andare incontro a una terapia sempre più personalizzata: al giusto paziente va somministrato il giusto farmaco.
 
Terapie personalizzate esistono anche per i pazienti più giovani?
Purtroppo gli studi condotti su pazienti pediatrici, nell’ottica di una terapia personalizzata, sono piuttosto scarsi. Tuttavia, al Burlo, da anni si stanno conducendo diversi studi proprio in questa direzione, ad esempio valutando i livelli ematici di alcuni farmaci utilizzati in queste patologie.

Inoltre, è stato condotto uno studio, recentemente premiato dalla Società italiana di farmacologia e da Farmindustria, volto a indagare l’associazione di sesso ed età con l’efficacia dei glucocorticoidi nel trattamento delle Mici pediatriche. È emerso che le adolescenti femmine di età superiore ai 13 anni, rispondono peggio rispetto alle pazienti più giovani. I maschi invece, rispondono meglio in generale, senza nessuna differenza di età. Queste informazioni necessitano di essere ulteriormente confermate, prima dell’applicazione in clinica.
 
Cosa si augura per la ricerca nel campo delle Mici?
Credo sia fondamentale investire nella ricerca, anche di base, per indagare i meccanismi dei farmaci sfruttando modelli cellulari innovativi che possano mimare situazioni patologiche. Al Burlo, ad esempio, a partire dalle biopsie dei pazienti pediatrici, sono prodotti in vitro modelli cellulari tridimensionali, detti organoidi, per testare sia l’efficacia, sia eventuali effetti collaterali dei farmaci utilizzati nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, senza danneggiare i piccoli pazienti.
 
Qual è la soddisfazione più grande che le regala la ricerca?
Sicuramente riuscire ad aiutare i clinici a somministrare le migliori terapie ai nostri pazienti, riuscendo a predire se il farmaco utilizzato sarà efficace o meno, e cercando nuove terapie. La forza della ricerca risiede nella sua traslabilità: la conoscenza non resta nei laboratori, ma arriva direttamente ai pazienti, permettendone una migliore cura.
 

Marianna Lucafò, ricercatrice di Farmacologia clinica nel Laboratorio di diagnostica avanzata traslazionale dell’Irccs “Burlo Garofolo”

Marianna Lucafò, ricercatrice di Farmacologia clinica nel Laboratorio di diagnostica avanzata traslazionale del Burlo

Data creazione: 
28/10/2021
Data di aggiornamento: 
28/10/2021
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