In occasione della Giornata Mondiale di Sensibilizzazione sulla Sindrome di Asperger, celebrata il 18 febbraio, giorno di nascita di Hans Asperger, condividiamo questo approfondimento a cura del Dott. Marco Carrozzi, Direttore di Neuropsichiatria.
L’articolo ripercorre la storia della sindrome, le sue caratteristiche cliniche e il dibattito attuale legato alla sua classificazione, offrendo spunti di riflessione sulla neurodiversità e sull’importanza di una società realmente inclusiva.
Il 18 febbraio, giorno di nascita di Hans Asperger, è la giornata mondiale di sensibilizzazione della sindrome di Asperger.
Nel suo lavoro originale del 1944 Hans Asperger pubblicò un caso clinico che presentava una condizione da lui chiamata “psicopatia autistica”. Nel 1981, la psichiatra Lorna Wing ha rilanciato la ricerca sul lavoro di Asperger e ha ribattezzato la “psicopatia autistica” come “sindrome di Asperger” (SdA). Pochi anni dopo, nel 1989, furono proposti i primi criteri diagnostici per la sindrome di Asperger. Nel 1994 la SdA è stata inclusa nella quarta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM IV), per poi “scomparire” nella quinta edizione del manuale (DSM 5) nel 2013.
Il nome della Sindrome è stato appunto ufficialmente cambiato, ma molti usano ancora il termine Sindrome di Asperger quando parlano della loro condizione che in alcuni casi viene chiamata (anche dagli stessi soggetti) “Aspie”. I sintomi della Sindrome di Asperger sono ora inclusi in una condizione chiamata Disturbo dello spettro autistico (DSA). DSA è ora il nome utilizzato per un'ampia gamma di disturbi simili all'autismo. Questo cambiamento riflette il crescente livello di consapevolezza che l'autismo comprenda uno spettro di esperienze con diversi gradi di gravità e un'ampia gamma di caratteristiche associate.
La sindrome di Asperger è quindi un disturbo del neurosviluppo ed è caratterizzata da una compromissione della comunicazione e dell'interazione sociale e da un’intelligenza media o superiore alla media senza un significativo ritardo del linguaggio.
Questo cambiamento di classificazione continua ad essere oggetto di dibattito sia fra gli specialisti che fra i soggetti che si identificano in questa condizione in quanto non tutti accettano che la SdA sia inclusa nel quadro più ampio del DSA .
L’obiezione principale è riportata da alcuni autori che sostengono che l'eliminazione della categoria diagnostica specifica per l'SdA possa portare a un aumento dello stigma nei confronti di individui precedentemente diagnosticati con SdA. Questo argomento si basa sulla constatazione che le società che hanno una percezione negativa dell'autismo come importante disabilità possano stigmatizzare gli individui che rientrano nell'ambito degli DSA. Al contrario, l'SdA è stata associata a stereotipi più positivi e la sua rimozione come categoria separata potrebbe potenzialmente contribuire a perdere queste associazioni positive.
In considerazione dell'ampio retroterra storico della SdA, le sue caratteristiche cliniche distinte e relativamente caratteristiche, gli specialisti utilizzano ancora questa diagnosi come un sottotipo di DSA
La SdA è perciò specifica di soggetti che presentano sintomi coerenti con l'DSA, in particolare al livello 1 di gravità, senza un deficit intellettivo di accompagnamento.
Le caratteristiche cliniche sono eterogenee e variano a seconda dell'età e delle eventuali coesistenti problematiche di tipo psichiatrico. Mentre i primi sintomi dell'autismo possono essere identificati già fra gli 1 ed i 3, la diagnosi di SdA è spesso ritardata e avviene comunemente intorno agli 11 anni o anche più tardi. L'età media della diagnosi è di circa 5 anni.
Come abbiamo detto i segni principali coinvolgono la comunicazione e interazione sociale (es. deficit di reciprocità socio-emotiva, ridotta condivisione di interessi, emozioni o effetti, incapacità di rispettare il turno durante una conversazione, incapacità di rispondere in modo appropriato alle interazioni sociali), i comportamenti comunicativi non verbali dell'interazione sociale (assenza di integrazione fra comunicazione verbale e non verbale, scarso contatto visivo, anomalo linguaggio del corpo, espressioni facciali e comunicazione non verbale anomali, incapacità a comprendere il significato di gesti non verbali) il mantenimento e la comprensione delle relazioni con gli altri (mancato adattamento del comportamento ai diversi contesti sociali, assenza di interesse per i coetanei, difficoltà a fare amicizia). Sono inoltre presenti comportamenti, interessi e attività limitate e ripetitive (es. come lo “sbattere” le mani o le dita, camminare sulle punte dei piedi, uso limitato e ripetitivo degli oggetti, linguaggio limitato e ripetitivo, inflessibile aderenza alle routine).
Oltre il 90% delle persone con autismo sperimenta percezioni sensoriali atipiche, di solito ipersensibilità, che possono generare una forte ansia che può causare comportamenti “esternalizzanti” (pianto, agitazione, auto ed etero-aggressività). Questa condizione si può manifestare come selettività alimentare o reazione eccessiva a un ambiente rumoroso, al contatto tattile o all'odore del corpo o un interesse insolito per gli aspetti sensoriali dell’ambiente. Al contrario meno frequentemente può anche essere presente una sorta di “iposensibilità” come una bassa soglia al dolore.
Spesso questi soggetti presentano i disturbi della coordinazione motoria. Manifestano quindi scarso interesse per lo sport e incontrano difficoltà nello svolgere attività come disegnare, scrivere o allacciare i bottoni della camicia.
Come abbiamo visto i bambini con SdA hanno difficoltà con le abilità sociali e quindi faticano a costruire amicizie e relazioni ma dalle ricerche emerge che in realtà sono interessati a costruire relazioni e si chiedono il motivo della loro solitudine e vivono precocemente la sensazione di solitudine.
Inoltre visto che hanno difficoltà a interpretare le sfumature del linguaggio non verbale, i gesti e le espressioni facciali, non comprendono completamente l'umorismo e le metafore, hanno interessi limitati e talvolta insoliti e possono parlare con un'intonazione innaturale, sono esposti al rischio di incontrare difficoltà interpersonali e di essere presi in giro dei loro coetanei. Circa il 40% dei bambini con DSA è stato vittima di bullismo e non è raro vedere individui con SdA abbandonare la scuola a causa dello sviluppo di sintomi ansiosi e depressivi dovuti alle loro difficoltà interpersonali.
Gli studi scientifici hanno inoltre documentato spesso una sovrapposizione di sintomi tra l'ADHD (con o senza iperattività) e la SdA, suggerendo la necessità di considerare la SdA quando si diagnostica l'ADHD in individui che presentano significative difficoltà interpersonali
Il profilo cognitivo dei bambini con sindrome di Asperger è eterogeneo, perché spesso il quoziente di intelligenza verbale (QI) è generalmente più alto del QI di performances. Non tutti gli individui con sindrome di Asperger però sono dei geni e può essere presente un importante variabilità nelle diverse abilità neuropsicologiche. Spesso presentano difficoltà nelle funzioni esecutive ma possono eccellere nelle aree dell'intelligenza fluida e nella risoluzione dei problemi.
Per quanto riguarda le cause le attuali conoscenze ipotizzano una complessa interazione di fattori genetici, neurologici e ambientali nello sviluppo del DSA.
La diagnosi di avvale oltre che dall’osservazione clinica degli strumenti di valutazione (scale di osservazione, di sviluppo, psicometriche e adattive) che sono stati sviluppati per la valutazione del DSA. Questi strumenti forniscono un approccio strutturato a supportare un clinico esperto nell'applicazione dei criteri diagnostici del DSA.
Presso la SC di NPI dell’IRCCS questi strumenti vengono utilizzati regolarmente, oltre ad altre valutazioni sul versante neurofisiologico, genetico e neuroradiologico.
Per quanto riguarda il trattamento non vi è una specifica cura ma, dove se ne ravveda la necessità, è possibile attivare interventi di tipo psicologico, riabilitativo sulle competenze sociali, logopedico ovvero farmacologico in caso di complicanze psichiatriche.
Là dove il paradigma medico si focalizza sulla classificazione dei segni/sintomi quindi sui deficit ai fini dell’inquadramento diagnostico, il paradigma della neurodiversità, che è un concetto più di tipo sociale o meglio biopsicosociale, si focalizza sull’ampia variabilità dello sviluppo e dei processi mentali e quindi delle esperienze e dei comportamenti degli individui. È un termine relativamente nuovo, coniato negli anni '90 da Judy Singer (una sociologa autistica, genitore di un bambino autistico). Sintetizzando e semplificando (vi è molta letteratura scientifica perché un ambito in cui si sta sviluppando un dibattito vivace e ricco) la neurodiversità si riferisce agli individui in cui alcuni sono neurotipici e altri neurodivergenti. Partendo dall’assunto che ognuno pensa ed elabora il mondo in modo diverso e che le tutte le prospettive meritano di essere viste, valorizzate e trattate allo stesso modo, in alcuni individui lo sviluppo del cervello è tale da dare origine a differenze più evidenti, che possono portare ad etichette diagnostiche come autismo e ADHD. L’implicazione più importante di questo punto di vista è che una sostanziale modifica nel modo in cui questi individui vengono considerati a tutti i livelli (scuola, famiglia, società, legislatori – paradigma biopsicosociale) permettendo loro di mettere a frutto e di utilizzare le loro peculiarità (piuttosto che considerare i loro “deficit”) per esempio nella scuola o nel mondo del lavoro è possibile creare una società inclusiva che difenda la diversità della natura umana, migliorando la qualità di vita di questi soggetti. In altri termini è necessario considerare la neurodivergenza in un’ottica che tenga conto delle sue numerose e diverse presentazioni, che vanno da punti di forza specifici a bisogni complessi in tutti i domini di funzionamento anche e soprattutto nel caso di SdA che spesso in letteratura viene ora definita come una “lost diagnosis”. Per chi fosse interessato viene pubblicata una rivisita scientifica in lingua inglese che si chiama “Neurodiversity”
Infine in considerazione di quanto detto finora, questa condizione clinica spesso permette ai soggetti con SdA di raccontare il loro vissuto scrivendo libri. Ce ne sono molti e per ovvi motivi non suggerisco titoli ma è sufficiente digitare in un motore di ricerca le parole “Sindrome di Asperger” e “autobiografia” per trovare utili indicazioni.
Dott. Marco Carrozzi
Direttore SC Neuropsichiatria Infantile